NESSUNO
NASCE, NESSUNO MUORE
Insegnamenti
di
Nisargadatta
Maharaj
A
cura di Ramesh S. Balsekar
Hai mai realmente pensato alla essenziale natura
dell’uomo? Dimentica ciò che hai letto, ciò che ti è stato detto. Hai mai
pensato in maniera indipendente a questa questione? Ripeto “indipendente”,
quieto e profondo pensiero, come se tu fossi il solo essere senziente sulla
terra e non ci fosse nessuno a guidarti? O a fuorviarti?
Quali sono gli elementi essenziali di quello che
consideri “te”? Per quanto concerne ciò che tu chiami un individuo, perché non
esamini questo fenomeno analiticamente, naturalmente e con mente aperta, dopo
avere abbandonato tutto l’esistente condizionamento mentale e le idee
preconcette? Se lo fai, che cosa scoprirai? Che tu ed io non siamo due, ma
la stessa Assoluta Unicità: NETI – NETI!
- - - -
Ciò che
“nasce”
“Nel mio
stato originale di unicità ed integrità, io non sapevo nemmeno di esistere. E
poi un giorno mi fu detto che ero “nato”, che un particolare corpo era “me”,
che una particolare coppia erano i miei genitori.
Poi, ho
cominciato ad accettare ulteriori informazioni su di “me”, giorno dopo giorno,
e così ho costruito una pseudo-personalità soltanto perché avevo accettato
l’accusa di essere nato, pur essendo pienamente consapevole che non avevo
esperienza di essere nato, che non avevo mai acconsentito ad essere nato e che
il mio corpo era stato posto su di me.
Gradualmente,
il condizionamento è diventato sempre più forte ed è cresciuto in tale misura
che non soltanto ho accettato l’accusa di essere nato come un particolare
corpo, ma anche che un giorno futuro sarei “morto” e la parola stessa “morte” è
divenuta per me una parola terribile che sta a significare un evento
traumatico.”
- Ciò che nasce è la coscienza, che ha bisogno di un organismo per manifestarsi, e quell’organismo è il corpo fisico.
- L’intero processo conosciuto come “vita”, iniziando con la “nascita” di una forma fisica e terminando con la sua “morte”, è parte del totale funzionamento della coscienza, il relativo che si manifesta dall’Immanifesto Assoluto.
- Relativamente - fenomenicamente - “tu” o “me”, non è null’altro che quel puntino di materia fisica che fu concepita in un grembo e all’interno del quale era latente la scintilla della coscienza che è immanente nell’intera manifestazione.
- Qual è la sorgente del corpo? Ovviamente lo sperma maschile che fertilizza un ovulo nel grembo femminile. Qual è la sorgente dello sperma e dell’ovulo? Il cibo consumato dai genitori.
- Di che cosa è fatto il corpo? Come giunge in esistenza il corpo? Il corpo è semplicemente una crescita nel grembo di una donna durante il periodo di nove mesi, la crescita di ciò che è concepito dall'unione dei fluidi sessuali maschili e femminili. Questi fluidi sono l'essenza del cibo consumato dai genitori. Basilarmente, perciò, sia la coscienza che il corpo sono fatti e sono sostenuti dal cibo. Nel corpo c’è Il Prana, o forza vitale e la Coscienza (o l'esistenza, la conoscenza "io sono").
- La sorgente del corpo umano è lo sperma maschile che fertilizza l’ovulo femminile e, al momento del concepimento, la coscienza è latente. È questo sperma maschile, reso fertile dalla coscienza latente in esso, che cresce nel grembo della madre; nel dovuto corso viene partorito come un bambino, diventa un fanciullo e poi attraversa il suo ciclo di vita.
- Lo sperma di un uomo, germinato nel grembo della donna, dopo nove mesi viene partorito come un bambino. Lo sperma, sviluppatosi nella forma di un neonato, attraversa gli stati di sonno e veglia, porta avanti le sue consuete funzioni fisiche e conosce di esistere. Cosa ha "presieduto" al processo dal concepimento al parto? Non è forse la conoscenza "io sono", che è rimasta latente dal concepimento al parto e, nel dovuto corso, è "nata"?
- Qual è la forza dietro questa naturale crescita? Null’altro che la coscienza che è latente nello sperma maschile, essendo quest’ultimo l’essenza del cibo consumato dai genitori. Lo sperma maschile e l’ovulo femminile sono in se stessi l’essenza del cibo consumato dai genitori; la forma fisica è composta e nutrita dai cinque elementi che costituiscono il cibo.
- Tutto ciò che tu pensi di essere non è null’altro che l’essenza “materiale” del corpo di tuo padre, che fu concepita nel grembo di tua madre e che più tardi è cresciuta spontaneamente nella forma di un bambino con occhi, carne, sangue, eccetera.
- In effetti, tu non fosti nemmeno consultato sulla tua "nascita". Fu creata una forma umana che crebbe da neonato ad un bambino e, ad un certo tempo, forse nel secondo anno della tua vita, ti fu detto che “tu” eri nato, che “tu” avevi sia un nome che una forma, dopo di che hai avuto la conoscenza della tua “esistenza” e “tu” hai cominciato a considerarti un individuo con una entità indipendente, separata dal resto del mondo. Ora considera:
-
l. I tuoi
genitori hanno specificatamente e deliberatamente creato “te”?
-
2. I tuoi
genitori conoscono il momento in cui è avvenuta la concezione?
-
3. “Tu”,
specificamente e deliberatamente, hai scelto una particolare coppia come tuoi
genitori?
-
4. Hai scelto di
“nascere?
-
5. C’è un
individuo che sia stato consultato sulla sua “nascita” per quanto concerne dei
particolari genitori?
Il “me” ed il “mio” sono venuti soltanto dopo la
nascita, che è chiaramente il risultato di un processo naturale in cui né i
genitori né il bambino hanno alcuna scelta. Dalle risposte a queste domande
sarà chiaro che una forma dall’aspetto di un essere umano è stata creata quasi
accidentalmente (senza alcuna concorrenza o selezione da parte di nessuno), che
tu susseguentemente hai accettato come tuo sé. Perciò, “tu”, in quanto tale, non
esisti né come un “fatto”, né come una entità. Questo è il primo fondamento:
Una forma è stata creata attraverso un processo naturale.
- Il tuo corpo è la crescita di un’emissione venuta dall’unione dei tuoi genitori e che fu concepita nel grembo di tua madre. Questa emissione era l’essenza del cibo consumato dai tuoi genitori. Il tuo corpo perciò è fatto dell’essenza-cibo ed è sostenuto dal cibo. Lo sperma è forse qualcosa di diverso dall’essenza del cibo consumato dal padre del bambino? Non è forse il cibo composto dai quattro elementi (etere, aria, fuoco ed acqua) attraverso il quinto elemento, la terra? Il seme della coscienza viene così ridotto a null'altro che cibo ed il corpo è il "cibo" della coscienza; non appena il corpo muore anche la coscienza scompare e tuttavia, la coscienza è il "seme" dell’intera universo! Ogni singolo individuo, ogni qualvolta sogna, ha una identica esperienza di un mondo creato nella coscienza e il senso di presenza conscia è il sapore, “la natura” dell’essenza-cibo che costituisce il corpo, come la dolcezza è la natura dello zucchero che in se stesso è l’essenza della canna da zucchero. Ma, comprendi che il tuo corpo può esistere soltanto per un periodo limitato di tempo e quando il materiale di cui è composto, alla fine, si deteriora sino al punto di“morire”, la forza vitale e la coscienza scompaiono anch’esse dal corpo. Così, che cosa accadrà a “te”?
- Il corpo con coscienza è un’unità fenomenica che è stata creata spontaneamente dai cinque elementi (spazio, aria, fuoco, acqua e terra) e dai tre attributi (Sattva, Rajas e Tamas). Questa unità cresce durante il suo ciclo vitale e poi “muore”; cioè, ritorna ai cinque elementi e la coscienza che era limitata dal corpo viene liberata nella Coscienza Impersonale. In questo naturale processo di creazione e distruzione di un unità fenomenica, dov’è la questione di un “tu”? Tu non sei mai stato coinvolto nella creazione dell’unità fenomenica che “tu” si suppone sia. Ti è stato detto dai tuoi genitori che tu sei “nato” e che un particolare corpo sei "tu”. In realtà tu non hai l’effettiva esperienza di essere nato. Ciò che è nato è una unità fenomenica, un apparato psicosomatico che è attivato dalla coscienza. Dovrebbe essere chiaro allora che la coscienza è la natura stessa del corpo fisico (come la dolcezza dello zucchero) e che il corpo fisico è fatto ed è sostenuto dal cibo che è l’essenza dei cinque elementi. In questo spontaneo, naturale processo, l’individuo in quanto tale non ha alcun significato. Il corpo individuale è fatto di cibo e la coscienza è universale, onnipervadente. Come può l’individuo invocare l’esistenza separata o la schiavitù e la liberazione per se stesso?
- L’attaccamento dell’essere umano al corpo, come entità separata, è dovuto interamente al condizionamento che riceve dai genitori, dagli anziani e dagli altri, dai primi momenti di comprensione, che egli è un corpo particolare con un particolare nome. Molto presto egli è convinto, al di là di ogni dubbio, di essere il corpo che è investito sia della forza vitale del respiro che inala ed esala continuamente, che della coscienza o capacità senziente che viene e va con gli stati di veglia e di sonno. In effetti, tutto ciò che è accaduto e che il noumeno si è oggettivato in milioni di forme (incluse le forme umane) come fenomeni che costituiscono la manifestazione totale ed il suo funzionamento, e questi oggetti fenomenici vengono continuamente creati e distrutti nel processo della manifestazione e nessuno ha alcuna scelta di azione. In realtà, perciò, invece dei vari esseri umani ognuno dei quali possiede la coscienza, è la Coscienza che possiede milioni di forme attraverso le quali il noumeno può oggettivarsi
- L’uomo si considera un essere speciale, a parte, rispetto a tutto il resto della creazione ma, per quanto concerne gli ingredienti dell’apparato fisico, non c’è differenza tra i vari tipi di creature senzienti. Soltanto il processo della creazione differisce.
- Chi sei allora tu? Tu sei ciò che eri prima che il corpo con coscienza venisse in essere, ciò che eri “cento anni fa”! La questione che a questo punto sorge naturalmente è: chi allora agisce nel mondo come il corpo? La risposta è che nella manifestazione la coscienza è ogni cosa. È la coscienza ad agire attraverso i milioni di corpi secondo l’innato carattere della composizione di ciascun corpo. Ci sono milioni di forme psicosomatiche, ma nessuna forma è esattamente uguale ad un’altra perché ciascuna forma ha una particolare combinazione dei cinque elementi più i tre attributi. Ogni elemento ha le proprie caratteristiche e così ogni attributo. Immaginate le milioni di sfumature che ciascuno di questi otto aspetti può avere e i risultanti milioni e trilioni di permutazioni e combinazioni che possono essere effettuate!
- La coscienza agisce attraverso i corpi fisici, ciascuno dei quali ha il suo proprio temperamento e carattere, basati parzialmente sulla sua composizione fisica e parzialmente sul condizionamento che ha ricevuto. Se questo viene chiaramente percepito, dovrebbe anche essere chiaro che nessun individuo ha l’autonomia di agire indipendentemente. Ma l’individuo, nella sua ignoranza, crede di essere lui ad agire, egli “assume su di sé” le azioni che avvengono, si vincola in una illusoria schiavitù e soffre il dolore ed il piacere. Ecco come sorge la “schiavitù”.
La
coscienza manifesta (Io Sono) ovvero il senso della presenza conscia
L’intero
universo è “della natura del pensiero”…
Aggrappati a
colui che sta cercando…
- Quando la coscienza impersonale si manifesta e si identifica con ciascuna forma fisica, sorge la nozione io, e questa nozione io, dimenticando di non avere esistenza indipendente, converte la sua soggettività originale in un oggetto con intenzioni, voleri e desideri ed è, perciò, vulnerabile alla sofferenza. Questa erronea identità è precisamente la “schiavitù” dalla quale viene cercata la liberazione.
- La coscienza non può esistere senza un corpo fisico ed essendo l’esistenza del corpo temporale, anche la coscienza deve essere temporale. Una volta che il corpo “muore”, la coscienza manifesta è liberata e si fonde con la coscienza impersonale, come una goccia d’acqua si fonde con l’oceano.
- Anche la coscienza è limitata nel tempo come il corpo. Quando il corpo “muore”, la coscienza scompare come una fiamma quando è esaurito il combustibile. Finché esiste il corpo, siete questa presenza conscia all’interno, il principio che percepisce; quando il corpo muore, “voi” siete la Consapevolezza Assoluta in cui si fonde la coscienza temporale, dove non c’è più il senso di essere presenti. Ricordate, perciò, che nessuno nasce e nessuno muore, perché tutte le forme (che appaiono, rimangono per un certo tempo e poi scompaiono) sono la vostra espressione, il vostro riflesso.
- Il corpo fisico che generalmente uno identifica con se stesso, è soltanto il costrutto fisico per il Prana (la forza vitale) e la coscienza. Senza il mana-coscienza che cos’è il corpo fisico? Soltanto un cadavere! È soltanto per il fatto che la coscienza si è erroneamente identificata con il suo involucro fisico - l’apparato psicosomatico - che l’individuo viene in esistenza.
- Il corpo è uno strumento necessario affinché la coscienza rimanga nella manifestazione. Come possono i due essere disidentificati sino a che l’energia vitale non abbandona il corpo (fatto comunemente conosciuto come morte) e la coscienza viene liberata della sua forma fenomenica?
- La schiavitù non è causata dalla semplice identificazione formale con il corpo che è un costrutto psicosomatico dei cinque elementi, uno strumento che non ha un’esistenza indipendente propria. Ciò che causa la “schiavitù” è l’identificazione che risulta dal concetto immaginato di una entità indipendente autonoma che si assume la paternità dell’azione e la responsabilità delle conseguenze. Il corpo deve continuare ad essere usato come uno strumento. La schiavitù può sorgere soltanto quando c’è una volizione apparente, cioè quando un’azione viene considerata una propria scelta, un “agente” mettendo con ciò in moto il processo della causalità, del Karma e della “schiavitù”. A quale stadio sorge la questione dell’identificazione? Essendo la fenomenalità totalmente latente nella noumenalità (essendo la noumenalità immanente nel fenomeno) la questione dell’identificazione non dovrebbe in realtà sorgere affatto.
- La coscienza può essere conscia di se stessa soltanto sino a che si manifesta nella forma fenomenica, un corpo, sia esso quello di un insetto, di un verme, di un animale o di un essere umano. Senza il corpo, nello stato immanifesto, la coscienza non è conscia di se stessa. Senza la coscienza il corpo è semplicemente materia morta. Il corpo perciò è il cibo che sostiene la coscienza e lo strumento attraverso il quale essa funziona. In effetti, la coscienza è la “natura”, o la “qualità” o il “gusto” del corpo fisico, come la dolcezza lo è dello zucchero.
- L’individuo nella forma del corpo umano è sempre l’oggetto; la coscienza (come testimonianza) è il soggetto e la loro relazione di mutua dipendenza (la coscienza non può apparire senza l’apparato di un corpo e il corpo non può avere capacità senziente senza la coscienza) è la prova della loro basilare identità con l’Assoluto.
- Se non siete consci, esiste l’universo per voi? È soltanto quando voi siete (consci) che il mondo è. Così, ovviamente, l’universo è contenuto nel granello di coscienza (che si suppone esista nella minuscola apertura al centro del capo). La coscienza non può manifestarsi, non può essere conscia di se stessa, a meno che non ci sia un apparato psicosomatico, il corpo. In assenza del corpo, la coscienza può essere conscia di se stessa? La coscienza, in assenza del corpo, non sarà più manifesta.
- Che cos’è la coscienza stessa se non un concetto che viene come un’eclisse sul noumeno per una certa durata di tempo? Se questa posizione viene direttamente percepita, intuitivamente percepita, allora conosciamo che nella relatività noi siamo la presenza conscia, la coscienza animante e non l’oggetto fenomenico alla quale essa dà capacità senziente. Quando vediamo il falso come falso, il problema si risolve.
- C’è questa coscienza da parte della quale istintivamente dite “io” e c’è il centro oggettivo dell’apparato psicosomatico che agisce nel mondo con il quale vi identificate erroneamente con un particolare nome. La prima è soggettivamente ciò-che-voi-siete-come “io”, l’altro è una forma fisica che è ciò-che-voi-apparite-essere come “me”. In effetti, non ci sono “me” né “voi”, soltanto “io”.
- Ciò che tu sei è “presenza” soltanto sino a che il corpo, un fenomeno manifesto, è presente. Che cos’eri prima che il corpo e la presenza ti raggiungessero spontaneamente? Dico “spontaneamente" perché non fosti consultato sul fatto di ricevere un corpo, né i tuoi genitori specificatamente si aspettavano di avere “te” come loro figlio. Non eri allora, relativamente, “assenza” piuttosto che “presenza”, prima che lo stato di corpo-coscienza sorgesse su qualunque cosa fosse quel “tu”?
- Il “funzionamento” della manifestazione avviene nella coscienza attraverso Prajna (pura consapevolezza), quel brillante attore-produttore di questo totale spettacolo-sogno, che assume tutti i ruoli nel grande sogno-dramma che è questa manifestazione. E la sorgente di questa presenza conscia è il noumeno.
- Pensare che un individuo possa agire indipendentemente è in se stesso un errore. Ciò che siamo è la presenza conscia e non l’involucro esterno della coscienza; non siamo il corpo che è soltanto un apparato psicosomatico usato per percepire la manifestazione.
- Le trasformazioni e le combinazioni dei cinque elementi, più i tre attributi e i loro milioni di ombre, ammontano a milioni di miliardi. Nulla ci impedisce di ammirare ciò che pensiamo sia ammirabile e di amare ciò che pensiamo sia amabile, ma comprendiamo cosa in effetti amiamo ed ammiriamo - non l’individuo concettuale, ma la meravigliosa abilità agente della coscienza che è capace di assumere simultaneamente milioni di ruoli in questa recita-sogno che è il mondo!
- La presente condizione fenomenica (il cui seme è la coscienza) è temporanea, come una malattia o un’eclissi sulla propria originale, immutabile condizione di noumeno e tutto quello che uno può fare è di trascorrere la propria durata di vita designata alla fine della quale l’eclissi della fenomenalità termina e il noumeno prevale ancora nella sua pura unicità, totalmente inconsapevole della sua consapevolezza.
- In assenza della coscienza non ci può essere alcun tipo di esistenza e la coscienza è semplicemente il pensiero - io sono. L’uomo stesso, essendo soltanto un’apparizione nella coscienza di qualcun’altro, non può avere sostanza in quanto tale. L’intero universo manifesto è “come il figlio di una donna sterile”: un’illusione. L’uomo soffre qualunque esperienza soltanto quando c’è il senso di presenza conscia.
- Se tu non fossi conscio, esisterebbe il tuo corpo per te? Ci sarebbe qualche mondo per te? La conoscenza Io sono o coscienza è il solo “capitale” che un essere senziente ha. In effetti, senza coscienza egli non avrebbe alcuna capacità senziente.
- C’è qualcosa che è rimasto immutato in tutti questi anni mentre ogni altra cosa è cambiata. E questo è il costante senso di presenza, il senso che tu esisti. Questo senso o sentimento “Io sono”, non è mai cambiato.
- La consapevolezza è lo stato originale primordiale, prima del concetto spazio-tempo, senza bisogno di causa, né sostegno. Semplicemente è. Comunque, nel momento in cui il concetto della coscienza sorge su questo originale stato di unicità, sorge il senso “Io sono”, causando una condizione di dualità. La coscienza è accompagnata da una forma. È un riflesso della consapevolezza contro la superficie della materia. Uno non può pensare alla coscienza come separata dalla consapevolezza; non ci può essere un riflesso del sole senza il sole. Ma ci può essere la consapevolezza senza coscienza. Nel sonno profondo, per esempio, non c’è coscienza (sta riposando) ma la consapevolezza è certamente là, perché nel risvegliarsi uno è consapevole di aver dormito, ma soltanto al risveglio.
- Devi ricordare ciò che eri prima che avessi questa conoscenza “lo sono” insieme con il corpo, cioè, prima che fossi “nato”; Mi hai detto che questo corpo dotato di coscienza era venuto a me senza la mia conoscenza o la mia partecipazione, perciò “io” non ero mai “nato”; Questo corpo dotato di coscienza che è “nato” è limitato nel tempo e quando scomparirà, alla fine del periodo designato, io ritornerò al mio stato originale che è sempre presente, ma non in manifestazione. Perciò, io non sono la coscienza e certamente non il costrutto fisico in cui dimora questa coscienza; c’è soltanto “Io” né “me", né “mio”, né “tu” - soltanto quello che è. Non c’è schiavitù al di fuori del concetto di un “me” e un “mio” separato in questa totalità di manifestazione e di funzionamento.
- Che cos’eri prima della tua “nascita”? In quello stato non c’era alcun bisogno, alcuna mancanza, alcun desiderio; nemmeno il desiderio della realtà o libertà, o liberazione. In effetti, quello è il tuo stato originale, vero stato o vera natura; uno stato di integrità, di santità, di assoluta presenza e relativa assenza. Un riflesso di quello stato è la coscienza, o l’io sono, o l’essere, ma il riflesso del sole non è il sole. Questa Presenza Conscia è ciò che sei, non il corpo che è semplicemente l’abitazione della coscienza, nella sua manifestazione. Quando il corpo “muore”, la coscienza è liberata dal corpo e tu non sei più nemmeno la presenza conscia, perché allora non c’è più nessuna presenza relativa. Allora sei nell’originale Assoluta Consapevolezza. Assenza relativa significa Assoluta Presenza, senza la coscienza di essere presenti. Il desiderio di libertà che sorge nel cuore del cercatore negli stadi iniziali, gradualmente scompare quando realizza che egli stesso è ciò che ha cercato. La persistenza di questo desiderio implica due “blocchi”. Uno, presume la presenza e la continuazione di un’entità che vuole la “libertà”, laddove per un oggetto fenomenico non ci può essere questione di libertà, perché un oggetto non ha alcuna esistenza indipendente. Due, questo desiderio è basato sul desiderio di catturare la libertà a livello della mente; ciò significa cercare di catturare lo sconosciuto e l’inconoscibile all’interno dei parametri del conosciuto! Non può essere fatto.
- Avevate qualche necessità di conoscenza cento anni fa? Quello che voi non conoscete e non potete conoscere è il vostro vero stato. Questo che voi pensate sia reale, perché può essere oggettivato, è ciò che voi sembrate essere. Qualunque conoscenza stiate ora cercando circa il vostro vero stato, è inconoscibile, perché voi siete ciò che state cercando. Tutto quello che potete ottenere come conoscenza è a livello concettuale - la conoscenza che otterrete come un’apparizione oggettiva. Tale “conoscenza” non è in alcun modo differente dall’ “ignoranza”, perché esse sono controparti collegate a livello concettuale. In altre parole, la comprensione a livello della mente significa soltanto concettualizzazione e pertanto è totalmente illusoria. Comprendete per favore la differenza tra questa conoscenza concettualizzata e l’intuitiva percezione che non è a livello concettuale. In effetti, percepire è vedere totalmente, che è differente in modo vitale dal semplice vedere intellettuale. Una volta che c’è percezione, la dualità delle controparti, la base della semplice comprensione intellettuale, scompare totalmente. Non c’è questione di “qualcuno” che pensa di avere compreso qualcosa con l’uso della ragione e della logica. La vera comprensione e percezione spontanea, intuitiva, senza scelta e totalmente non dualistica.
- Non dovrebbe essere possibile per te percepire il tuo vero stato, lo stato prima che “tu” “nascessi”? Potresti ritornare a quello stato originale, prima che la coscienza spontaneamente sorgesse e portasse il senso della presenza? Quest’ultimo stato del “senso della presenza” è vero sino a che esiste il corpo. Quando la durata della vita del corpo è terminata, questa presenza conscia si fonde nello stato originale dove non c’è coscienza di essere presenti. Nessuno nasce, nessuno muore. C’è semplicemente l’inizio, la durata e la fine di un evento, oggettivato come tempo-vita nello spazio-tempo. Come fenomeno non c’è entità che sia vincolata e come noumeno non può esserci entità che necessiti d'essere liberata. Questo è ciò che deve essere percepito: il mondo di sogno dei fenomeni è qualcosa che deve essere meramente testimoniato.
- Ciò che percepisce la forma dell’oggetto sicuramente deve esistere prima dell’oggetto percepito. Potete percepire i vari oggetti, incluse alcune parti del vostro corpo che sono anch’esse oggetti per ciò che percepisce. Perciò, quello che percepisce non è il corpo, che è soltanto un oggetto, in quanto può essere percepito. Colui che percepisce è il soggetto e la cosa percepita è l’oggetto. Cos’è che percepisce? È la coscienza, l’esistenza, lo stato di io sono, colui che percepisce.
- Il corpo è soltanto uno strumento, un apparato che sarebbe del tutto inutile se non fosse per l’energia interiore, il senso “io sono”, la conoscenza di essere vivi, la coscienza che fornisce il senso di essere presenti. In effetti, questa presenza conscia (non il tal dei tali che è presente, ma il senso di presenza conscia in quanto tale) è ciò che uno è, e non l’apparizione fenomenica che è il corpo. È quando questa coscienza, sentendo la necessità di qualche sostegno, erroneamente si identifica con il corpo e abbandona il suo potenziale illimitato per la limitazione di un singolo particolare corpo, che l’individuo è “nato”.
- L’“Io sono”, il senso della presenza conscia, di “esistere”, è la sola verità che ogni essere senziente conosce e questa è la sola “prova” che uno può avere. E tuttavia, la semplice esistenza non può essere definita verità per la semplice ragione che l’esistenza stessa non è al di là del tempo e dello spazio come la Realtà.
- In quale stadio, esattamente, ho avuto la conoscenza della mia "esistenza"? Che cos'ero prima che questa conoscenza "io sono" mi raggiungesse? Questa conoscenza "io sono" è stata con me da quando io posso ricordare, forse alcuni mesi dopo che questo corpo nacque, perciò la memoria stessa deve avere a che fare con questa conoscenza "io sono", questa coscienza. Qual era la posizione prima di ciò? La risposta è: non lo so. Perciò, qualunque cosa io conosco ha il suo inizio nella coscienza, incluso il dolore ed il piacere, il giorno e la notte, la veglia ed il sogno; in effetti l'intera gamma delle dualità e degli opposti in cui uno non può esistere senza l'altro. Ancora, qual era la posizione prima che sorgesse la coscienza? Questi opposti relazionati inevitabilmente devono essere esistiti, ma soltanto nella negazione, nella unicità, nella totalità. Questa allora deve essere la risposta. Questa unicità è ciò che io sono.
- Qualunque sia lo stato in cui non conoscevamo nulla, quello è il nostro vero stato, quella è la Realtà. In quello stato, non conoscevamo nemmeno la nostra esistenza. Allora, spontaneamente, arrivò il messaggio o il pensiero, o la conoscenza “io sono”. Questa conoscenza “io sono” diede inizio al senso di dualità, soggetto ed oggetto, peccato e merito e l’intera gamma degli opposti collegati tra loro. Qualunque cosa ci fosse prima della conoscenza "io sono”, è la verità; qualunque cosa segua la conoscenza, o la coscienza "io sono” , è falsa. Comprendi questo fatto basilare. Io sono, il senso di presenza, ha ottenuto vari nomi gloriosi come Maya, Prakriti, Ishwara, eccetera, tuttavia è un’illusione, pura ignoranza. È Prakriti (la natura cosmica) che con la cooperazione del Purusha concettuale (il Sé) crea il mondo e lo popola di innumerevoli forme fisiche. È Maya (l'illusione cosmica) in azione che fa in modo che la coscienza (che dà capacità senziente agli esseri) creda erroneamente di essere la particolare forma stessa. Così la coscienza assume l’identità della forma particolare e dimentica la sua vera natura.
- Potresti vedere l’intero Universo come un sogno, ma fino a che c’è un “tu” che vede questo sogno come un’entità separata, avrai dei problemi. Spero che tu arrivi gradualmente a realizzare di essere tu stesso una figura sognata in questo sogno vivente, una parte integrante del sogno e non qualcuno a parte e separato da esso.
- La manifestazione dell’intero universo è come un sogno, il sogno cosmico, esattamente come il sogno microcosmico di un individuo. Tutti gli oggetti sono oggetti sognati, apparizioni nella coscienza, sia che il sogno sorga spontaneamente come un sogno personale ed individuale durante il sonno, sia che si tratti del sogno vivente della vita in cui tutti noi siamo sognati e vissuti. Tutti gli oggetti, tutte le apparizioni sono sognate dagli esseri senzienti nella coscienza. Gli esseri senzienti sono, perciò, sia figure sognate che sognatori; non c’è un solo sognatore in quanto tale. Ogni corrente di sogno dell’universo avviene nella coscienza, che è all’interno di un particolare apparato psicosomatico, il mezzo attraverso il quale avviene il percepire e l’interpretare e che è scambiato per una entità individuale.
- In che modo viene in esistenza l’entità individuale e la sua schiavitù? Una breve risposta sarebbe affermare che la coscienza, limitata dai confini della forma fisica e non trovando nessun altro sostegno, illude se stessa in un’identificazione con un corpo particolare e così crea una pseudo-entità; e questa pseudo-entità, credendosi l’agente delle azioni (che in realtà formano parte dei totale funzionamento spontaneo di Prajna), deve accettarne le conseguenze e così si assoggetta alla schiavitù di causa ed effetto dell’idea del Karma.
- Questo incantevole senso di presenza è soltanto un senso, un concetto che sopraggiunge sull’Immanifesto Assoluto come un ospite non invitato, che si insinua nella casa così insidiosamente che l’ospite viene spinto in un senso di falsa sicurezza e benessere. Viene così coinvolto nello spettacolo che raramente si cura di scoprire se lo spettacolo esiste realmente o se è semplicemente una visione, un’allucinazione, un sogno, un miraggio. Vede l’albero ed è così incantato da esso da dimenticare che l’albero non è null’altro che la crescita del seme, che ne è la vera sorgente. Lo scopo del Paramartha (l’insegnamento centrale) è di cercare la sorgente, il seme.
- Sembriamo convinti di vivere una vita tutta nostra, secondo i nostri desideri, speranze ed ambizioni, secondo il nostro piano e disegno, attraverso i nostri sforzi individuali. Ma è realmente così? O veniamo sognati e vissuti senza volizione, totalmente come marionette, esattamente come in un sogno personale? Pensaci! Non dimenticare mai che proprio come il mondo esiste, quantunque come un’apparizione, anche le figure sognate nel sogno devono avere un contenuto - esse sono ciò che è il soggetto del sogno. Questo è il motivo per cui dico: Relativamente, “Io” non sono, ma l’universo manifesto è me stesso.
- Nella coscienza il mondo appare e scompare e ciascuno di noi ha il diritto di dire: tutto ciò che è, sono io, tutto ciò che è, è mio; prima di ogni inizio, dopo ogni fine, io sono là a testimoniare ciò che accade. “Me” , “tu” e “egli” sono soltanto apparizioni nella coscienza - tutti sono basilarmente “Io”. Non è che il mondo non esista. Come apparizione nella coscienza, il mondo è la totalità dei conosciuto e il potenziale dello sconosciuto. Si può dire che appare, ma non che esiste. La durata delle apparizioni, naturalmente, differirà secondo diverse misure di tempo.
- "Io so che sono e che ho un corpo. Come è potuto accadere senza la mia conoscenza ed il mio consenso? E che cos'è questa conoscenza io sono?" Il funzionamento della manifestazione avviene sino a che c’è coscienza. Identificandoci senza necessità con l’agente, ci si attira la responsabilità e la colpa.
- L'intera cosa è davvero semplice, se soltanto si vede il quadro chiaramente. Che cos'è questo "me" con il quale sono coinvolto? La risposta immediata, naturalmente, è: "questo me, questo corpo". Ma il corpo è soltanto un apparato psicosomatico. Qual è l'elemento più importante, in questo apparato, che lo qualifica in modo che sia conosciuto come un essere senziente? È indubbiamente la coscienza senza la quale questo apparato, pur forse tecnicamente vivo, sarebbe inutile per quanto concerne il suo funzionamento. Questa coscienza, ovviamente, ha bisogno di un costrutto fisico in cui manifestarsi. Così, la coscienza dipende dal corpo.
- Chi è questo “io” che vuole raggiungere la realtà? È questo complesso-corpo, questo apparato psicosomatico che vuole raggiungere la realtà? Ma non c’è qualcosa – chiamiamolo senso di presenza - senza il quale nessuno dei tuoi sensi sarebbe in grado di conoscere nulla? Cos’è che dà capacità senziente ad un essere senziente? Tu sei questa presenza conscia sino a che c’è il corpo. Una volta che il tuo corpo se ne è andato, insieme con il respiro vitale, anche la coscienza se ne andrà. Soltanto quello che era prima dell’apparizione di questo corpo-con-coscienza, l’Assoluto, il sempre presente, è la tua vera identità.
- Non ci può mai essere nessuna entità individuale in quanto tale, con scelta di azione indipendente. Perciò, come posso “io”, in futuro, intrattenere alcuna intenzione? E, se io cesso di avere intenzioni, come ci possono essere conflitti psicologici? In assenza di intenzione non ci può essere base psicologica per nessun coinvolgimento con il Karma. Ci sarebbe allora perfetto allineamento con qualunque cosa possa accadere, un’accettazione degli eventi senza alcun sentimento né di raggiungimento né di frustrazione. Un vivere del genere sarebbe un vivere non-volitivo (un’assenza di volizione sia positiva che negativa, un’assenza sia di azione deliberata che di deliberata non azione), attraversando la “mia” durata di vita designata, non volendo nulla e non evitando nulla, cosicché questa “vita” (questa durata della coscienza che è venuta come un’eclissi sul mio vero stato originale) scomparirà nei dovuto corso, lasciandomi nella mia assoluta presenza. Cosa potrebbe volere di più (il concettuale) “uno”?
- Ogni funzione, ogni azione nella vita, può essere soltanto azione spontanea perché non c’è entità ad eseguire nessuna azione. Voi siete (io sono) il funzionamento, il sogno, la danza cosmica di Shiva! Infine, ricordate che ogni sognare di qualunque tipo deve necessariamente essere fenomenico, un’apparizione nella coscienza quando la coscienza è “sveglia”, cioè quando la coscienza è conscia di se stessa. Quando la coscienza non è conscia di se stessa non ci può essere sognare, come nel sonno profondo.
- Cos’è quello senza il quale nessuno sarebbe in grado di percepire nulla, né di fare nulla? Senza il quale non saresti in grado di porre alcuna domanda ed io non sarei in grado di rispondere? Se tu ed io non fossimo consci, potremmo avere questa conversazione? Che cos’è la “coscienza”? Non è forse il senso di essere presenti, essere vivi? Questo senso di Presenza Conscia non ha realmente alcun riferimento a nessun individuo: è il senso di presenza conscia in quanto tale. Senza questa coscienza, quando, per esempio, la coscienza abbandona il corpo nel momento della morte, il corpo viene rapidamente eliminato - sepolto o cremato - perché altrimenti la carne putrefatta comincerebbe a puzzare rapidamente. Dov’è allora l’individuo che quando c’era la coscienza era considerato un genio? Si dice che sia “morto”.
- Se io non sono (conscio), il mondo non è (come nel sonno profondo). È soltanto quando sono conscio che il mondo esiste per me. Tutte le indagini del cercatore devono perciò riferirsi a questa coscienza: Come è sorta? Qual è la sua sorgente? Che cosa la sostiene? Qual è la sua natura? Le risposte a questi interrogativi conducono alla vera conoscenza. Senza la coscienza non ci può essere esistenza fenomenica e perciò la coscienza è il Dio più alto che un individuo, nella sua individualità, possa concepire, sebbene egli possa dargli qualunque nome.
- Perché appaia qualcosa, perché esista qualcosa, ci deve essere uno sfondo di assoluta assenza; assoluta assenza sia della presenza che dell’assenza. So che questo non è facile da afferrare. Ma prova. Qualunque presenza può “apparire” soltanto dalla totale assenza. Se c’è presenza persino dell’assenza, non ci può essere né il fenomeno né la percezione. Perciò, la totale assoluta assenza implica totale assenza del concettualizzare. Questo è il tuo vero stato originale. Lo ripeto: il “tu” è nato nel grembo del concettualizzare. Sullo stato originale della totale assenza è sorto spontaneamente un punto di coscienza - il pensiero “io sono” - e da ciò sullo stato originale dell’unicità e della totalità sorge la dualità; la dualità del soggetto-oggetto, del giusto e dello sbagliato, del puro e dell’impuro - il ragionare, il comparare, il giudicare, eccetera.
- Perché uno deve avere conoscenza spirituale se alla fine della propria vita il risultato è lo stesso sia nel caso del Jnani che dell’ignorante? L’intero universo manifesto è un’apparizione nella coscienza. Se non sei conscio, il mondo per te non esiste, poiché non puoi conoscere nulla. Questa coscienza (in cui uno conosce l’universo fenomenico) è tutto ciò che siamo. Sino a che siamo nel mondo fenomenico, possiamo percepire soltanto quello; non possiamo essere quello-che-siamo sino a che non ci svegliamo dal sogno della fenomenalità, comprendiamo il sogno in quanto tale e smettiamo di concettualizzare ed oggettivare. Questa è la base essenziale: Il Noumeno è la sostanza, il fenomeno è il semplice riflesso; essi non sono differenti. Il punto successivo da comprendere è questo: nel mondo fenomenico quando il “tu” vede il “lui”, entrambi sono oggetti visti vicendevolmente come apparizioni nella coscienza. Ma, comprendi questo, non c’è soggetto che vede l’altro come un oggetto. C’è soltanto il vedere che sta funzionando come un aspetto del potenziale noumenico. Questo “funzionamento” avviene attraverso il veicolo della forma fisica, l’apparato psicosomatico che come fenomeno è esso stesso soltanto una manifestazione e, perciò, anche un aspetto dei noumeno come l’ombra lo è della sostanza. Sino a che non c’è il concetto di una entità individuale che si assume scelta di azione, tutto il funzionamento fenomenico avviene spontaneamente e la faccenda della “schiavitù” e della “liberazione” non sorge. Ma, ciò che accade è che il centro funzionale di una forma psicosomatica (per la nostra analisi potremmo chiamarlo la coscienza “personale”, sebbene la coscienza non possa essere divisa così) viene investito di una soggettività spuria, come entità separata, sebbene essa stessa sia soltanto un oggetto con il noumeno come solo soggetto. Così si crea la pseudo-entità che si suppone sia nata, viva e muoia. Si presume che questa pseudo-entità abbia una capacità indipendente di scelta e decisione e, implicitamente, anche la responsabilità per tutto quello che accadrà nel funzionamento del mondo manifesto, cioè, la sofferenza in questo mondo, i previsti peccati, i meriti e la conseguente “schiavitù” con il bisogno di “liberazione”. È chiara ora la posizione? Ciò-che-siamo si identifica erroneamente nella relatività con ciò-che-non-siamo, essendo quest’ultima la pseudo-entità. La “schiavitù” sorge da questa identificazione. È questa pseudo-entità che soffre il senso di colpa, la schiavitù, e cerca la liberazione. “Io” non posso soffrire perché 1’“Io” non è equipaggiato con nessuno strumento per mezzo del quale la sensazione possa essere sperimentata. Qualunque esperienza, piacevole o spiacevole, potrebbe essere sperimentata soltanto dall’oggetto fantasma chiamato “me”, al quale è stata attribuita una erronea identità. Ora, finalmente, puoi comprendere ciò che accade nel caso del Jnani. Il Jnani ha percepito l’illusione basilare dell’universo manifesto, così come pure il suo apparente ruolo come fenomeno, nello spontaneo funzionamento della manifestazione. Egli si è adattato armoniosamente a qualunque cosa possa accadere al fenomeno mentre attraversa il viaggio della vita e dopo di ciò “ritorna a casa”. Sembra che viva la sua vita come qualunque altro uomo, ma l’importante differenza è che egli si è disidentificato dalla pseudo-entità e, perciò, non sperimenta la sofferenza. Nel caso della persona ignorante, la pseudo-entità (un’illusione) continua ad attraversare il mondo di sogno che è la manifestazione come un’entità indipendente con volizione apparente. E soffre perché si coinvolge nella nozione della causalità, conosciuta come Karma, incluso il concetto della rinascita. L’Assoluto Noumeno si manifesta attraverso milioni di forme che vengono create e distrutte in ogni momento e in questo funzionamento spontaneo non c’è posto per nessuna nozione di entità. Perciò, qualunque azione, positiva o negativa, basata sulla nozione di una entità autonoma, indipendente, implica un fallimento fondamentale nell’afferrare le basi essenziali dell’Advaita. Sino a che c’è una pseudo-entità che si considera un cercatore ed opera verso la “liberazione” continuerà a rimanere in “schiavitù”. Si deve percepire profondamente, intuitivamente, che il cercatore è il cercato. Quando questo accade, il cercatore scompare.
- Se una persona comprende ed accetta la sua vera identità al punto da essere un Jnani, non arriverebbe alla conclusione che tutti i fenomeni, tutti gli esseri senzienti, incluso se stesso come fenomeno, non sono null’altro che immagini concettuali nella mente, immaginarie come quelle di un sogno? Il colpevole è la coscienza, la sorgente di tutta la concettualizzazione. Il problema è stato creato nella coscienza e conosciuto nella coscienza e che è questa coscienza stessa che sta cercando di comprendere la propria natura. Non è la tua coscienza stessa su cui appaiono i pensieri? E, come abbiamo visto, la coscienza o presenza è vincolata dal tempo assieme al corpo. Qualunque cosa avviene è parte del funzionamento generale nella coscienza e nessun oggetto fenomenico (che è in effetti semplicemente un’apparizione nella coscienza di qualcun’altro) può avere alcuna indipendenza di esistenza o volizione nell’azione. tutto il funzionamento è al livello dello spazio fisico concettuale (Mahadakash), che è contenuto in un granello concettuale di coscienza, lo spazio mentale del tempo, della percezione e della cognizione (Chidakash).
- Come puoi “tu” o chiunque altro avere coscienza? Realizzi l’inimmaginabile grandezza, la santità di ciò che tu così casualmente chiami “coscienza”? Dalle il nome che vuoi, la parola non è ciò che significa. Come puoi mai dimenticare la verità basilare che la coscienza è l’espressione stessa di ciò-che-siamo? È attraverso il vibrare della coscienza che l’Assoluto immanifesto diventa consapevole della sua consapevolezza attraverso la manifestazione; e l’intero universo viene in esistenza.
- La coscienza in azione, cioè il fenomeno, viene vista come lo strumento perituro attraverso il quale avviene la manifestazione, sebbene naturalmente, la manifestazione non sia differente dal noumeno ma soltanto l’aspetto oggettivo del noumeno, il solo soggetto. Questo ci porta a chiederci perché la coscienza sia definita “vincolata dal tempo”. La risposta è che la Coscienza ha bisogno di una forma fisica per manifestarsi e la coscienza manifestata in quella forma può durare soltanto sino a che dura la forma fisica. La forma fisica è fatta ed è sostenuta e nutrita dal cibo, che è soltanto l’essenza dei cinque elementi (il mischiarsi dei fluidi vitali dei genitori, che causa il concepimento nel grembo femminile, è in se stesso l’essenza del cibo consumato dai genitori). Quando la forma fisica “muore”, il respiro abbandona il corpo e si mischia con l’aria esterna, mentre la coscienza lascia il corpo e si fonde con la coscienza immanifesta. La coscienza all’interno del corpo è perciò limitata nella sua manifestazione in ciascun caso, dalla durata della vita che ciascuna forma fisica avrà e perciò, è vincolata nel tempo.
- Aggrappati a colui che sta cercando. Questo è tutto quello che c’è da fare e, in effetti, non c’è null’altro che tu possa fare. Se fai questo - cioè se non lasci che colui che cerca ti sfugga mai - alla fine scoprirai che il cercatore non è null’altro che la coscienza che cerca la sua sorgente e che il cercatore stesso è sia la ricerca che il cercato e che questo sei tu.
Mente -
Ego - Personalità – Identificazione
Tu non sei la
mente, che non è null’altro se non il contenuto della coscienza…
La mente per
la sua stessa natura è orientata all’esterno, sempre a cercare la sorgente
delle cose all’interno delle cose stesse…
- La persona che uno pensa di essere, è soltanto un prodotto dell’immaginazione e il sé è la vittima di questa illusione. La “persona” non può esistere di per sé. È il sé, la coscienza, che erroneamente crede ci sia una persona ed è conscio di esserlo.
- Che cosa siamo “realmente”? Consideriamo come “reale" qualunque cosa che sia percepibile ai sensi e tuttavia ogni “cosa” immaginabile che sia percepibile a livello sensoriale, deve passare attraverso una interpretazione da parte della mente, prima di essere conosciuta. E qualunque cosa così conosciuta è ovviamente soltanto un’apparizione nella coscienza di colui che conosce. Se qualunque cosa percepibile a livello sensoriale è soltanto un’apparizione, dov’è allora la realtà della forma fisica che sembra così “reale” e tangibile?
- Siamo così abituati a pensare a noi stessi come a corpi aventi coscienza, che troviamo molto difficile accettare o persino comprendere la vera posizione. In effetti è la coscienza che si manifesta in innumerevoli corpi. È perciò essenziale arrivare a percepire che la nascita e la morte non sono altro che l’inizio e la fine di un flusso di movimenti nella coscienza, interpretati come eventi nello spazio-tempo.
- La gente, al giorno d’oggi, è così schiava delle attività grossolane della vita che difficilmente ha il tempo di osservarsi criticamente. Si sveglia alla mattina e immediatamente comincia a pianificare le attività della giornata. Per le persone l’attività è una virtù ed il pensiero contemplativo è qualcosa che non ha senso.
- Quello che tu in realtà vuoi, è raggiungere una comprensione accettabile del tuo sé (che tu sei stato condizionato a considerare come un’entità corpo-mente con completo controllo sulle sue azioni) e della tua relazione con il mondo in cui vivi, tu da una parte ed il mondo dall’altra.
- È soltanto quando usate la mente divisa che esistete separati dagli “altri” e dal mondo. Lo scopo di qualunque sforzo è di ottenere qualcosa, qualche beneficio che uno non possiede.
- La personalità viene ad essere, semplicemente a causa della memoria - identificando il presente con il passato e proiettandolo nel futuro. Pensa a te stesso come momentaneo, senza un passato o un futuro, allora dov’è la personalità?
- La solida personalità che ti ritieni essere non è null’altro che un’apparizione nella coscienza. Ciò che è peggio è che l’interpretazione cambierà e ha continuato a cambiare di tanto in tanto. Qualunque pensiero su te stesso, che sia tuo o di qualcun’altro, è soltanto un movimento nella coscienza, soltanto una temporanea immagine mentale. Questo è tutto ciò che sei. Ma questo sei realmente tu? Soltanto un’immagine mentale? Esiste realmente un’immagine con cui uno possa identificarsi come se fosse un’entità immutabile, indipendente, autonoma, con scelta di azione?
- I concetti sorgono dai pensieri e tutti questi insieme formano un fardello conosciuto come mente. Il pensare significa “concettualizzare”, creare oggetti nella mente e questa è “schiavitù”.
- Sino a che c’è una presunta entità autonoma, che cerca di comprendere in modo volitivo, la vera comprensione e fuori portata. Qualunque entità “indipendente” determina una mente condizionata, piena di concetti, che fa resistenza all’entrata di qualunque cosa io voglia impartire.
- Non appena sorge il pensiero io sono, la “mente” (che non è null’altro che il contenuto della coscienza) inizia il processo dell’oggettivare; può farlo soltanto attraverso il concetto della dualità, una separazione razionale in soggetto ed oggetto, in controparti collegate e contrastanti come piacere e dolore.
- Tu pensi di essere il corpo e che il corpo abbia la coscienza. Se devi considerare la questione in termini di uno che possiede l’altro, sicuramente è la coscienza che è in possesso non soltanto del corpo, che tu pensi di essere, ma dei milioni di altri corpi attraverso i quali la coscienza funziona come Prajna (pura consapevolezza).
- Questa esistenza o coscienza erroneamente si identifica con la particolare forma che ha assunto. In altre parole, ciò che è realmente senza forma, la conoscenza "io sono", il semplice senso di esistenza (non di essere questo o quello ma la coscienza in generale), si limita ad una sola particolare forma e con ciò accetta la sua propria "nascita", dopo di che vive nella costante ombra del terrore della "morte'. Così nasce la nozione di una personalità individuale o identità, o ego.
- Che cosa esattamente pensi di essere? Qual è l’immagine di te stesso dieci anni fa? La stessa di ora? E di quando avevi dieci anni? E di quando eri un infante? E persino prima di quello? L’immagine di te stesso non è forse cambiata costantemente?
- Ti sei identificato con il corpo, l’apparato psicosomatico attraverso il quale viene sofferta un’esperienza, lo strumento in cui viene registrata l’esperienza sofferta. Tu hai perduto la tua identità come pura soggettività, l’Assoluto che realmente sei, e ti sei erroneamente identificato con il “me” oggettivo; perciò dici “io soffro” e perciò sei “vincolato” .
- Che cos’è lo sperimentare? Non è forse reagire ad uno stimolo esterno che viene interpretato dai sensi come un’esperienza piacevole ed accettabile o spiacevole e non accettabile? Non si sperimenta la sofferenza, si soffre un’esperienza, piacevole o spiacevole. Ora, la questione fondamentale alla quale dovresti essere interessato è: Chi (o, più appropriatamente cosa) soffre un’esperienza? Lascia che te lo dica direttamente: “Io” non soffro (non posso) alcuna esperienza, piacevole o spiacevole; è soltanto un "tu” o un “me” che soffre un’esperienza.
- La nostra idea di “vivere le nostre vite” è uno scherzo, perché l’idea del vivere le nostre vite è basata sul credo erroneo che ciò che facciamo siano tutti atti di nostra scelta. Chi può esercitare questa volizione quando abbiamo appena percepito che non c’è entità ad esercitarla? Il “vivere” in quanto tale, in realtà, non è null’altro che il funzionamento della coscienza attraverso i milioni di forme fisiche scambiate per vite individuali. Questa fondamentale percezione comporta la comprensione che la vita è soltanto un sogno-vivente. A questo stadio, dovrebbe essere chiaro che qualunque cosa uno vede, ascolta, gusta, odora o tocca, è percepita a livello sensoriale e che questa percezione è, in effetti, semplicemente una cognizione nella coscienza; che l’entità, i cui sensi l’hanno percepita, è in se stessa soltanto un’apparizione nella coscienza dell’“altro” che percepisce questa entità come un oggetto!
- Che cosa dà la capacità senziente - la capacità di provare sensazioni, di rispondere agli stimoli - ad un essere senziente? Cos’è che distingue una persona viva da una morta? È, naturalmente, il senso di esistere, sapere di essere presenti, la coscienza, lo spirito che anima la struttura fisica del corpo. In effetti è la coscienza che si manifesta in forme individuali e dà loro un'esistenza apparente. Negli esseri umani, attraverso tale manifestazione, sorge il concetto di un “io” separato.
- Scopri cos’è che dà la facoltà di percepire a un essere senziente, quello senza il quale non sapresti nemmeno che esisti tu, per non parlare del mondo esterno. E alla fine, va ancora più nel profondo ed esamina se questa esistenza, questa stessa coscienza non è limitata nel tempo.
- Non essere semplicemente il corpo ma qualcos'altro, quel qualcosa deve essere la conoscenza "io sono", il senso di esistere. Devi dimorare continuamente con questa conoscenza "io sono". torna indietro alla sorgente della tua esistenza.
- Sviluppate l’abitudine di pensare e parlare in modo passivo. Invece di “io vedo qualcosa” o “io odo qualcosa”, perché non pensare al participio passato: “qualcosa è visto” o “qualcosa è udito”? La percezione allora non sarà sulla base di un’azione dell’entità fenomenica, ma sulla base di un evento, di un‘occorrenza. A tempo debito, la pseudo-entità “io” si ritirerà nello sfondo.
- Prima di andare a dormire alla sera, dedicate circa dieci minuti a sedervi rilassando il corpo e la mente, con la consapevolezza che “voi” non siete il corpo-mente ma la coscienza che anima, cosicché questa idea impregnerà il vostro essere durante tutto il tempo del sonno.
- I pensieri conducono sempre all’identificazione o alla condanna; sono prodotti di nozioni preconcetto e ostacolano la via della reale comprensione. Qualunque cosa i sensi percepiscano e la mente interpreti è un’apparizione nella coscienza estesa nello spazio-tempo e oggettivata, in un mondo che il soggetto che conosce (cioè voi) considera come separato da se stesso. Qui sta l’errore: in questo processo la percezione non è totale. Ciò che è necessario è il vedere integrale, vedere non con la mente individuale che è una mente divisa, ma vedere dall’interno, dalla sorgente - vedere non dalla manifestazione come un fenomeno ma dalla sorgente di ogni vedere. Allora, soltanto allora, ci sarà totale percezione e corretto vedere ed apprendere.
- Quando la mente, che è il contenuto della coscienza, è vuota - quando “digiuna” o riposa - il filare ed il tessere della mente cessa, ed essa si calma. Quando la mente smette di “fare”, essa semplicemente è. In assenza di oggettivazione, la nostra presenza assoluta è, l’universo manifesto non è, noi siamo. o, piuttosto, “io sono”.
- Il contatto della persona individuale con la consapevolezza dell’Assoluto può avvenire soltanto quando la mente, per così dire, “sta digiunando”, perché allora il processo della concettualizzazione cessa. Quando la mente è quieta riflette la Realtà; quando la mente è assolutamente senza moto si dissolve e rimane soltanto la Realtà.
- C'è bisogno di un vedere molto speciale, il vedere intuitivo, tramite il quale viene percepito che non c’è nessuno a vedere e non c’è nulla da vedere!
- In quello stato di ascolto intuitivo, quando l’ascoltatore non si intrometterà più, le parole libereranno ed esporranno il loro significato sottile, interiore, che la mente in “digiuno” o aperta, afferrerà e percepirà con convinzione profonda e immediata. E allora persino le parole avranno raggiunto la loro realizzazione limitata! Quando l’ascoltatore rimane in uno stato di sospensione senza intromettersi nell’ascolto in quanto tale, ciò che in effetti accade è che la mente relativa, divisa, viene automaticamente frenata dalla sua naturale propensione ad impegnarsi in una tortuosa interpretazione delle parole e le viene perciò impedito di mantenere un continuo processo di oggettivazione. Allora è la mente totale che viene messa in grado di essere in diretta comunione con l’esposizione e l’ascolto in quanto tali permettendo così lo Yoga delle parole, permettendo ad esse di cedere il loro significato più interiore e più sottile. Ciò che è spontaneo è corretto, perché, in assenza di concettualizzazione, ciò che è spontaneo è naturale e perciò corretto senza alcun ragionamento, paragone o causa-effetto.
- Come fa a sorgere o ad aver luogo questa percezione intuitiva? Ma questo è esattamente il punto. Se il processo avvenisse all’interno dei parametri di comprensione intellettuale, come potrebbe essere “intuitivo”? L’intelletto è necessario per comprendere certi concetti fondamentali, ma c’è un limite oltre al quale non può andare e perciò è soltanto quando l’intelletto abbandona ogni sforzo e si arrende totalmente, che l’intuizione sopraggiunge.
- L’intelletto è certamente essenziale per assimilare e valutare la conoscenza mondana e, naturalmente, è necessario fino ad un certo punto anche per la conoscenza spirituale. Ma poi, ciò che è necessario non è il semplice intelletto, ma una capacità intuitiva innata che è un dono che alcune persone hanno in misura maggiore di altre. Devi liberarti di questa intossicazione ed abbandonarti al processo intuitivo della pura ricettività. Il tipo di ricettività alla quale mi riferisco si ottiene quando non soltanto non c’è un reagire allo stimolo, ma soprattutto c’è un’apertura alla coscienza senza l’intrusione di inclinazioni personali e di opinioni prestabilite; in breve, senza l’intrusione della individualità. In effetti, ciò che viene detto, viene detto non da me come individuo ma dalla coscienza, che non ha forma. Anche l’ascolto deve essere fatto dalla coscienza senza l’intrusione di un individuo immaginario. Che la coscienza ascolti ciò che la coscienza dice della coscienza! Ricorda che tutti i pensieri sono movimenti nella coscienza, osservati e percepiti dalla coscienza; l’individuo non ha posto in questo funzionamento eccetto che come una mera apparizione nella coscienza!
- Evitando il pensiero e percependo le cose direttamente, viene evitato il concettualizzare. In altre parole, nel vedere con la mente totale, intuitivamente, il veggente apparente scompare e il vedere diventa il visto.
- Non tutto il pensare significa concettualizzare. C’è in effetti una grande differenza tra pensieri e pensieri. Pensieri che formano il sognare ad occhi aperti, o i pensieri di rimpianto sugli eventi passati, o i pensieri di paura o preoccupazione o anticipazione sul futuro, sono sicuramente molto differenti dai pensieri che originano spontaneamente dalla profondità della propria psiche, che si potrebbero chiamare pensieri che non necessitano di argomentazioni ed interpretazioni da parte della mente. I primi devono essere ignorati ed evitati; i secondi non possono essere ignorati o evitati perché sono essenzialmente spontanei, immediati e basilarmente non-concettuali. Il primo pensiero “io sono” è sicuramente un pensiero, ma uno di quelli che non necessitano di argomentazione o conferma da parte della mente. In effetti, in quanto base di ogni ulteriore pensiero, è il pensiero pre-concettuale, la sorgente stessa della mente. Il pensiero diretto o assoluto è il processo per mezzo del quale l’Assoluto non-manifesto si manifesta. Nessun pensiero spontaneo, non-duale, intuitivo, può sorgere sino a che la tempesta del pensiero concettuale non è cessata e la mente riposa in uno stato di “digiuno”.
- Liberarsi del pensiero concettuale significa liberazione, risveglio, che non può essere altrimenti “conseguito” o “ottenuto” da nessuno. L’illuminazione non è una “cosa” che può essere acquisita da qualcuno in qualche tempo o in qualche luogo.
- Se non c’è un particolare tipo di ricettività, le parole realizzano soltanto uno scopo molto limitato. Possono forse stimolare la vostra curiosità intellettuale e il vostro desiderio di conoscenza, ma non si aprono a rivelare il loro vero significato. Bene, cos’è questo tipo speciale di ricettività? Significherebbe qualche cosa per voi se io dicessi che “voi” siete venuti qui ad ascoltarmi ma dovete ascoltarmi sulla base che questo “voi” è totalmente illusorio, che in realtà non ci sono dei “voi” che possono ascoltare le mie parole e ottenere dei benefici? In effetti, devo arrivare al punto di affermare che a meno che non abbandoniate il vostro ruolo di ascoltatore individuale che si aspetta qualche beneficio da ciò che ascolta, le parole per voi resteranno semplici suoni vuoti.
- Le parole sorgono dalla coscienza e vengono rivolte alla coscienza. È la coscienza che dovrebbe ascoltare le parole e dopo che il significato viene afferrato intuitivamente, alle parole dovrebbe essere permesso di fondersi nella coscienza. Se l’ascolto avviene da parte un “individuo” che ha intenzione di ottenere qualche beneficio, con l’aiuto dell’intelletto, tutto sarà perduto. In effetti, è esattamente l’interferenza dell’intelletto che dovrebbe essere evitata. Come è stato chiarito in precedenza, ciò che deve essere percepito è il vuoto della pseudo-entità. Sino a che è un’entità che ascolta le parole, come possono le parole raggiungere persino lo scopo limitato di indicare la giusta direzione, essendo la giusta direzione lontana dalla fenomenalità, che è la sorgente sia dell’entità che delle parole stesse?
- Le parole possono mostrare il loro profondo e sottile significato soltanto se vengono accettate intuitivamente, senza l’interferenza interpretativa dell’intelletto; altrimenti il risultato sarà una semplice comprensione intellettuale del mondo “esterno”, da parte di un’entità che si considera separata da ciò che comprende essere illusorio.
- Ciò che classificherei con la parola “silenzio” è la totale assenza di parole e pensieri. Hai mai considerato da dove viene la parola? Prima che una parola venga espressa deve essere un pensiero; un movimento nella coscienza e, perciò, la sorgente della parola, così come pure del pensiero, è la coscienza. Una volta che comprendi questo, comprendi anche che il perfetto silenzio può esserci soltanto in assenza di pensiero; soltanto quando il pensiero cessa e sono sospese anche la concettualizzazione e l’oggettivazione. Quando la concettualizzazione cessa, l’identità, che è la base della concettualizzazione, non può rimanere, e senza l’identità non c’è schiavitù.
- L’ostruzione che impedisce la percezione è il fatto che, sebbene voi vi prepariate ad accettare la tesi che ogni cosa dell’universo è illusoria, in questa illusorietà voi dimenticate di includere voi stessi. L’ascoltatore non dimentichi di essere la coscienza impersonale e non l’apparato fisico in cui la coscienza si è manifestata. Deve ascoltare sulla base dei diretto percepire, senza alcun intervento da parte dell’individuo concettuale.
- La persona che pensa di stare ascoltando è illusoria e tuttavia nessuno crede di non esistere! non c’è né un oratore, né un ascoltatore. non c’è entità che può affermare di non esistere. Se un’entità asserisse di non esistere, questa stessa asserzione ne proverebbe l’esistenza! Comunque, il punto più importante che non è così facile da afferrare, è che la sorgente di questa presenza fenomenica (che è la manifestazione dell’immanifesto) è assenza di noumeno. Ogni volta che la mente è in “digiuno”, completamente senza concettualizzazione, c’è l’assenza fenomenica e questa presenza dell’assenza fenomenica è noumenica.
- Anche se le persone possono essere entità fittizie, nulla di più che semplici apparizioni nella coscienza, come possiamo vivere nel mondo a meno che non accettiamo le differenti entità come “reali” nella vita? In effetti è che tu sai che l’entità in quanto tale è totalmente fittizia e non ha indipendenza sua propria; che è soltanto un concetto. Ma questa entità fittizia deve vivere la sua vita normale. Dov’è il problema? È così difficile condurre una vita normale sapendo che il vivere stesso è un concetto? Hai afferrato il punto? Una volta che hai visto il falso come falso, una volta che hai visto la natura duale di ciò che chiami “vita” - che in effetti è il vivere - il resto dovrebbe essere semplice; semplice quanto la condizione di un attore che recita il suo ruolo con zelo, sapendo che è soltanto un ruolo in una commedia e nulla di più. Riconoscere questo fatto con convinzione, percepire questa posizione, è tutta la verità.
- Una volta che hai compreso che c’è un luogo separato, il bagno, per scopi specifici, useresti il salotto o la stanza per quegli scopi? Una volta che c’è una percezione inequivocabile della vera natura, una volta che vedi chiaramente il falso come falso, dov’è la necessità di dover decidere la proprietà o meno di un’azione? Chi prenderà la decisione? Forse che si ha la possibilità di una scelta indipendente nel prendere la decisione? C’è realmente una scelta? Una volta che si è percepito che non c’è entità con indipendenza di azione, il “vivere” che ne seguirebbe non sarebbe forse totalmente non-volitivo? In altre parole, la percezione stessa non condurrebbe all’abbandono - o meglio - ad una spontanea cessazione del concetto stesso dell’attività volitiva? Uno può pensare di vivere; in effetti, uno viene soltanto “vissuto”.
- Qual è la base di qualunque azione? La necessità. Tu mangi perché c’è la necessità di fare ciò; il tuo corpo evacua perché c’è la necessità di ciò. Tu mi fai visita a causa della necessità di farlo e di ascoltare ciò che dico. Quando c’è la necessità, l’azione segue spontaneamente senza alcun intervento da parte di qualsiasi agente. Chi sente la necessità? La coscienza, naturalmente, sente la necessità attraverso il mezzo dell’apparato psicosomatico. Se tu pensi di essere questo apparato, non è un caso di identificazione errata, che fa assumere il fardello della schiavitù e cercare la liberazione? Ma in realtà colui che si interroga, il cercatore, è il cercato!
- Come fare dunque a vivere in questo mondo di sogno ed allo stesso tempo portare avanti i propri affari e guadagnarsi da vivere? Se tutti adottano questa attitudine “fatalistica”, nessuno lavorerà o farà alcun progresso? Provalo effettivamente e vedi se la Natura funziona in quel modo. Quanto puoi sedere immobile senza fare nulla - dieci minuti? Questo è il punto in cui la struttura fisica e mentale di ciascun apparato psicosomatico entra in gioco; lavorerà secondo il modo in cui è costruito, sia in campo materiale che in quello spirituale.
- Può un uomo, onestamente, permettersi di spendere il suo tempo assorbito in meditazione sul sé, ad esclusione dei molti problemi sociali e politici dei paese e del mondo? Il “mondo” (nel quale devono essere risolti i problemi) è soltanto un’apparizione, Noi siamo, relativamente, esseri senzienti e vogliamo “fare” qualcosa per risolvere i problemi del mondo. È possibile per un essere senziente che è esso stesso concettuale, fare qualcosa di diverso dal concettuale?
- Quando percepisci che qualunque cosa pensi di essere è basata soltanto sulla memoria e sull’anticipazione, la ricerca termina e tu ti ergi in piena consapevolezza del falso come falso. Non è il pensare stesso una nozione della mente? Nel vedere le cose intuitivamente il pensiero è assente. Quando pensi di comprendere, non comprendi. Quando percepisci direttamente, non c’è pensiero. Tu sai” di essere vivo. Non “pensi” che sei vivo. Quando dici “penso di capire”, è tutto sbagliato. Quando dici “non capisco”, ciò è assolutamente vero.
- Può sorgere qualche domanda che non abbia al suo centro un “voi” o un “me” come individuo, che vede o non vede, comprende o non comprende, che fa o non fa? C’è sempre un “me” coinvolto. A livello intellettuale non ci sarà mai fine alle domande. Le tue continue domande e le mie continue risposte entrambe si limiteranno a essere un passatempo! In effetti, non c’è null’altro da fare poiché non c’è “scopo” in quel che è visto come l’Universo; è tutto un Lila (un gioco) e noi ne facciamo parte. Ma dobbiamo comprenderlo. Potete porre domande su ciò che è stato detto ma fatelo senza identificarvi con il corpo. Un essere realizzato, un Jnani, non avrebbe affatto domande!
- Quando parli di una persona ignorante e di un Jnani e della necessità per una persona ignorante di diventare un Jnani, non dai per scontato che ci sia un individuo indipendente ed autonomo, capace di esercitare una volizione personale secondo la sua scelta e la sua decisione? Nel processo in cui l’universo fenomenico viene a manifestarsi, c’è spazio per queste entità indipendenti?
- Il pensare di essere un’entità che deve raggiungere qualcosa, al fine di diventare come l’entità che pensate io sia! Questo è il pensiero che costituisce la “schiavitù”, l’identificazione con un’entità e nulla, assolutamente nulla al di fuori della disidentificazione porterà la “liberazione”. Come ho detto, voi vi vedete e mi vedete come entità, entità separate; io vi vedo esattamente come vedo me stesso. Voi siete ciò che io sono, ma vi siete identificati con ciò che pensate di essere - un oggetto - e cercate la liberazione per quell’oggetto. Non è un enorme scherzo? Può un oggetto avere esistenza indipendente e volizione ed azione? Può un oggetto essere schiavo? E liberato?
- Dovete cessare di pensare e parlare come se foste oggetti fenomenici. Vi ho detto che non siete oggetti fenomenici, bensì la coscienza stessa, la coscienza animante che fornisce capacità senziente agli esseri.
- Se uno vede - percepisce - le cose così come sono, se percepisce la totale manifestazione con l’intera mente e non con la mente dicotomizzata di un individuo, allora non è lontano dal grande risveglio e qualunque cosa faccia non ha importanza. Sino a che rimane l’idea di un’entità separata con facoltà di azione indipendente, l’esperienza mistica dell’universo come illusione non può avvenire. Perciò, dobbiamo accettare il fatto che non ci fu mai, mai avrebbe potuto esserci, un’entità separata vincolata e da liberare.
- Il problema è che tu ti consideri un’entità individuale con forma fisica e consideri anche il Guru come un’altra entità individuale con un’altra forma, sebbene con qualche cosa nella sua testa o nel suo cuore, da qualche parte, che fa di lui una persona “illuminata”, ma pur sempre una “persona”. Questo è il vero errore. Il Guru, comunque, ha realizzato di essere la Realtà Ultima. Egli vede ogni essere come vede se stesso, cioè non come una “persona", non come una semplice “forma”, o “cosa”. L’altro errore è che il cercatore, il discepolo come entità, si aspetta di imparare e comprendere “qualcosa”. Ma come può un oggetto meramente concettuale comprendere qualche cosa? Ciò che in effetti accade è che la comprensione, come tale, fa scomparire il cercatore (il Sadhaka). L’individualità del cercatore gradualmente scompare, ma, nel processo, la grazia del Guru che è sempre splendente come il sole, diventa una cosa sola con la coscienza. Non appena l’identificazione con il corpo, come entità separata, viene perduta, la grazia del Guru sboccerà nella coscienza del discepolo. E allora egli realizzerà che il Guru non è null’altro che la coscienza interiore e che sarà la coscienza che, compiaciuta della fede ed amore del discepolo, agirà come Sadguru e dischiuderà tutta la conoscenza necessaria. Comunque, non ci può essere alcun progresso (sebbene il “progresso” stesso sia un concetto erroneo) se continui a considerarti un’entità e ad aspettarti che il Guru, come un’altra entità, ti dia qualche compito da fare e che quando questo è adeguatamente completato ti consegni una sorta di certificato, o altro, chiamato “liberazione”. Questo intero concetto è un fraintendimento. Devi realizzare il vero significato dei Guru e della sua grazia, prima che l’onnipresente grazia del Guru possa spontaneamente e naturalmente fluire verso di te.
- Lo sviluppo spirituale, in ciascun caso, dipendendo dalla struttura di ogni psiche, avviene spontaneamente e qualunque sforzo deliberato, da parte della pseudo-identità, creerebbe soltanto pericoli ed ostruzioni. Quando questo fatto è costantemente tenuto a mente, uno automaticamente si tiene lontano dal più grande pericolo spirituale, cioè, l’impennarsi dell’ego. In assenza di un fermo ancoraggio della mente nella non-esistenza di una entità indipendente, gli aspiranti, sia che seguano il sentiero di Jnana che quello della Bhakti, comincerebbero a ritenersi, forse involontariamente, persone privilegiate, superiori non soltanto a coloro che nella loro opinione sono gli individui medi fuorviati, ma anche nei confronti di chiunque altro.
- Nel mondo ci sono milioni di esseri umani, ogni psiche incline per temperamento verso quello che la sua composizione fisica (la particolare combinazione di ognuno dei cinque elementi e dei tre attributi di Sattva, Rajas e Tamas) indica. Se questo viene tenuto a mente, apprezzeremo prontamente le attitudini, grandemente diverse, delle persone desiderose di conoscere la loro vera natura. Ci sono alcune psiche che sono come del legno secco o della polvere da sparo: non hanno bisogno d’altro che di una scintilla del fuoco della conoscenza che viene dalle labbra del Guru, per accendersi. Mentre ce ne sono altre, così bagnate da non essere in grado di rispondere sveltamente nemmeno ad un fuoco divampante e, naturalmente, tra questi estremi esiste la totalità della popolazione del mondo.
- La mente non può essere usata per trascendere la mente. L'occhio non può vedere se stesso; il gusto non può gustare se stesso; il suono non può udire se stesso. Quando la mente viene diretta verso la sorgente interiore, è quasi come l’inizio di una nuova vita. La consapevolezza rimpiazza la coscienza. L’ “Io sono”, che è un pensiero nella coscienza, cessa. Nella Consapevolezza non c’è pensiero. La Consapevolezza è la sorgente della coscienza.
- La meditazione non è qualcosa di cui uno si può occupare come un esperimento o un divertimento, semplicemente per vedere ciò che accade. Una certa preparazione preliminare per essa è necessaria. non c’è potere più grande della coscienza; se uno gioca con essa è impossibile prevederne le conseguenze. E se la psiche non e preparata a fronteggiare queste conseguenze, ci potrebbero essere seri disturbi a livello di corpo-mente per la semplice ragione che in precedenza non c’era stata una preparazione per la disidentificazione dal corpo.
Lo
Spazio-Tempo
- Poiché è nella coscienza che appare l’intero mondo fenomenico, ne consegue necessariamente che tutta la manifestazione diverrà percepibile a livello sensoriale soltanto se questa coscienza viene estesa nello spazio e per una certa durata di tempo. Uno deve, perciò, necessariamente accettare l’esistenza, puramente concettuale, dell’apparato psichico dello spazio-tempo come pre-requisito per la percezione dell’universo manifesto. Questo ci conduce alla conclusione che senza il concetto dello spazio-tempo l’universo manifesto non sarebbe percepibile a livello sensoriale e, perciò, tutti gli eventi basati su causa ed effetto ed estesi nello spazio-tempo devono essere anch’essi concettuali.
- Lo “spazio” è l’aspetto statico del concetto di funzionamento: se non ci fosse lo spazio, non potrebbe essere concepito nessun fenomeno tridimensionale. E il “tempo” (durata) è l’aspetto attivo del concetto di funzionamento: se non ci fosse durata, il fenomeno concepito nello spazio non sarebbe percepibile. Non ci può essere né manifestazione né funzionamento (né esseri umani né eventi) in assenza del concetto duale di spazio e tempo, conosciuto come “spazio-tempo”; e questi due aspetti sono separati soltanto come concetto, ma perdono la loro separazione quando cessa la concettualizzazione.
- Lo spazio-tempo è la struttura concettuale fondamentale, cornice senza la quale la manifestazione del fenomeno non sarebbe possibile. Se non ci fosse il concetto di “spazio” che costituisce il volume, potrebbe un oggetto apparire a tre dimensioni? E senza un altro concetto, il “tempo”, potrebbe venire percepita l’apparizione di un oggetto, cioè senza la durata in cui l’oggetto possa essere conosciuto?
- Quindi, se la cornice che noi chiamiamo “spazio-tempo” è essa stessa concettuale, potrebbero gli oggetti apparsi in quella cornice concettuale di spazio-tempo, come gli esseri umani, essere qualcosa di diverso da fantasmi concettuali ed immaginari? Perciò, comprendi fermamente una volta per tutte che nessun oggetto concettuale, sebbene confuso con un’entità separata, può mai avere un’esistenza indipendente o una personale volizione.
- Quando dici che vedi un oggetto, quello che in realtà accade è che i tuoi sensi hanno reagito ad uno stimolo proveniente da una sorgente esterna, esterna ai tuo apparato corporeo. E ciò che i tuoi sensi hanno percepito e la tua mente interpretato, non è null’altro che un’apparizione nella tua coscienza. Questa apparizione nella tua coscienza è costruita come un evento, esteso nello spazio e nella durata. Tutta la manifestazione dipende da una combinazione dei due veicoli strettamente uniti, chiamati spazio e tempo. In altre parole, in assenza della combinazione spazio-tempo, nessuna manifestazione potrebbe sorgere nella coscienza.
- Saresti stato in grado di concepire qualche aspetto del mondo manifesto se non ci fosse lo “spazio-tempo”? Se i fenomeni non fossero estesi nello spazio, se non avessero un “volume” tridimensionale e se essi non fossero misurati nella durata, tu non avresti potuto concepire, e tanto meno percepire, nulla dell’universo apparente. Per favore, nota che tutti i fenomeni sono semplici apparizioni nello spazio-tempo, concepiti e percepiti nella coscienza.
- La natura dello spazio-tempo è in realtà incomprensibile, poiché supera i limiti della mente e di tutta la conoscenza umana acquisita fino ad ora. L’elemento spazio-tempo (la base della nozione del Karma causa-effetto e la conseguente schiavitù) è essenzialmente soltanto un espediente per rendere possibile la percezione sensoriale del fenomeno e perciò, non può essere nulla di indipendente come un mezzo di schiavitù.
- Comprendi ciò che è il tempo. A meno che tu non conosca la natura del tempo, non comprenderai la natura dei fenomeni. Ciò che accade è che uno dà il tempo per scontato e poi procede a costruire ogni sorta di concetti. Il tempo e lo spazio avanzano parallelamente. Perché sei in grado di conoscere le cose? Perché le vedi. Saresti in grado di vedere le cose se non avessero forma? Vedi le cose perché hanno forma, volume, perché sono estese nello spazio. Facciamo un passo avanti. Se le cose fossero viste nello spazio soltanto per una frazione di secondo, saresti in grado di percepirle? Percepisci le cose soltanto perché sono estese nello spazio per una certa durata (tempo) e le forme rimangono a sufficienza davanti a te da metterti in grado di percepirle. Se non ci fossero i concetti di tempo e spazio (il tempo e lo spazio in se stessi ovviamente non sono oggetti), le “cose” non sarebbero percepibili e non sarebbero “cose”. Se non ci fosse lo spazio-tempo (niente passato, presente e futuro), come ci potrebbe essere qualche fenomeno, qualche evento? Per favore cerca di comprendere che sia i fenomeni che il tempo sono meramente concetti e non hanno esistenza propria: qualunque cosa sia vista, o pensata, è semplicemente un’immagine concepita nella coscienza, la presunta esistenza della quale è “reale” come un sogno o un miraggio.
- C’è realmente un passato-presente-futuro nel senso obiettivo? Il “passato” è andato senza scampo ed il “futuro” potete conoscerlo soltanto quando è diventato presente-passato, sbiadito nella forma di un ricordo. Durata significa temporalità, che è la conditio sine qua non di tutti i fenomeni, inclusi tutti i voi e i me. Cosi, ciò che sembrate essere, ciò che siete condizionati a pensare di essere, ma non siete, è temporale. Ma ciò che voi siete come Presenza Conscia (ed il conoscitore di questa coscienza) è atemporalità. Il “passato” è soltanto un ricordo ed il “futuro” soltanto una speranza. È solo il “presente”, l’adesso, che significa qualcosa per noi, poiché presenza è ciò che siamo in quanto temporalità. Voi siete il tempo. Ciò che pensate di essere, è durata, tempo; ciò che soggettivamente siete, è al di là del tempo. Vi sorprende il fatto che vi venga detto che quello che pensate di essere è tempo? Come oggetto fenomenico, non siete forse tempo, il fiume del tempo che fluisce dall’infanzia alla vecchiaia, dalla nascita alla morte, dalla creazione alla distruzione, come qualunque altro fenomeno manifesto? Ciò che pensate di essere (l’apparato psicosomatico) è sempre in movimento, persino nel sogno, muovendosi verso la veglia, per la semplice ragione che la coscienza, la natura della quale è movimento, non vi lascerà stare fermi. Questo costante “fare” diventa il malfamato karma soltanto a causa della identificazione con la forma fisica, a causa della quale vi assumete la responsabilità per l’apparente azione e, naturalmente, anche per le conseguenze. Ogni azione apparente si estende nello spazio-tempo al fine di diventare percepibile nella manifestazione e con ciò diventa un “evento”. L’intero mondo fenomenico rappresenta milioni di voi. E la totalità di tutte queste azioni-eventi di tutti i voi, rappresenta il mondo in azione. La parola “nascita” dovrebbe realmente riferirsi al tempo perché se la durata non fosse nata (inseparabilmente con lo “spazio”), la manifestazione e la percezione non avrebbero potuto avere luogo. Voi pensate di essere nati, ma ciò che nacque fu la durata in cui voi come oggetto siete diventati percepibili.
La
Dualità e gli opposti interdipendenti
- È soltanto nella dualità che può avvenire la comunicazione. Le parole stesse espandono ulteriormente la dicotomia.
- A livello relativo, ogni cosa deve avere una controparte al fine di avere persino un’esistenza concettuale (se non oggettiva), ma tutte queste controparti come la luce e l’oscurità, la conoscenza e l’ignoranza, il bene e il male, eccetera, eternamente separate nel concetto, diventano inseparabilmente unite quando sovrimposte in mutua negazione.
- Il concetto della dualità si allarga ed il condizionamento diventa più forte. L’entità-soggetto separata allora si stabilisce come un arbitro che analizza e critica vari oggetti e l’intero schema degli opposti interdipendenti viene in esistenza - buono e cattivo, grande e piccolo, lontano e vicino, fornendo materia per la condanna e l’approvazione. Il substrato dell’intera creazione di questo universo fenomenico è naturalmente il concetto di spazio-tempo. Lo spazio è necessario per l’oggettivazione ed il tempo lo è per misurare la durata di questa estensione nello spazio. Senza spazio, come potrebbero gli oggetti ottenere forme per diventare visibili e senza il tempo (la durata dell’apparizione) come potrebbero essere percepiti?
- Sicuramente devi realizzare che il “bene” e il “male” sono semplici opposti interdipendenti, manifestazioni essenziali nella dualità, apparizioni nella coscienza, che recitano i loro rispettivi ruoli nel totale funzionamento. Tutti i sentimenti e le emozioni (l’amore, la devozione, eccetera) sono basati sulla dualità e sino a che questi sentimenti continuano a dominare la propria visione, la dualità continuerà ad avere una ferma presa e la reale santità, l’integrità, l’unicità, saranno fuori portata. In effetti, nel credere ad un’entità e nell’identificarsi con essa sta tutta la “schiavitù” che c’è e realizzare che non ci può essere entità separata dal totale funzionamento di Prajna, è istantanea liberazione.
- Il ragionamento relativo è il processo di ragionamento per mezzo del quale un soggetto crea nella sua coscienza oggetti con qualità opposte o caratteristiche che possono essere comparate. In altre parole, il processo semplicemente non può funzionare eccetto che sulla base di una dualità soggetto-oggetto. Tale ragionamento relativo può essere efficace ed in effetti necessario per descrivere oggetti per mezzo del paragone. Ma come può funzionare con il soggettivo? Quello che concepisce il soggetto ovviamente non può concepire se stesso come un oggetto! L’occhio può vedere ogni altra cosa eccetto che se stesso!
- La comprensione intellettuale (il ragionamento relativo) è basata sulla causa e l’effetto, uno degli aspetti del dualismo temporale su cui è basata la concettualizzazione. La comprensione intuitiva - la comprensione diretta - d ’altra parte, è atemporale, dove la causa e l’effetto sono uno. È la comprensione intellettuale che conduce alla domanda: Se non c’è entità autonoma ad esercitare volizione, come viene realizzato il vivere non-volitivo? Oppure: come dovrebbe vivere ed agire uno nel mondo? Non importa ciò che fai se hai veramente capito ciò di cui sto parlando. Diversamente, non importa nemmeno se non hai capito ciò di cui sto parlando! Il punto è, ovviamente, che tutte le nostre esperienze passate, se attentamente analizzate, mostrerebbero chiaramente che le nostre vite, invece di essere vissute da noi, come pensiamo, sono in effetti vissute attraverso noi, come tutti i caratteri nel proprio sogno e che perciò la volizione in realtà non è un fattore importante nelle nostre vite.
- È necessario portare alla luce l’identità essenziale del non-manifesto e del manifesto, del noumeno e del fenomeno, dell’Assoluto e del relativo, della presenza e dell’assenza e di tutti gli opposti o controparti interdipendenti. Tutti questi rappresentano i vari aspetti della mente (essendo la mente il contenuto della coscienza) che costituiscono il dualismo che è alla base di tutta la manifestazione: l’osservatore e l’osservato, il conoscitore ed il conosciuto.
- Occorre comprendere l’intera manifestazione e il suo funzionamento nella coscienza – ovvero che ciò che noi siamo nella dualità è solo una mera apparizione, un Lila (giuoco), come il riflesso del sole in una goccia di rugiada. La demolizione del riflesso non influenza il sole. La coscienza in azione è il “Lila”, vincolato nel tempo, che alla fine del suo designato periodo si fonde nella Coscienza a riposo; la Consapevolezza infinita, incondizionata, che non è consapevole di se stessa.
- Percepire l’identità basilare degli opposti interdipendenti significa “liberazione”, perché allora verrà realizzato che il cercatore stesso è il cercato, che tutte le distinzioni esistono soltanto nella dualità e che se i vari opposti interdipendenti vengono sovrimposti uno all’altro, causeranno la loro distruzione e perciò la distruzione della condizione stessa della dualità, rivelando così la fondamentale unità. È perciò necessario ripetere qui che la coscienza è la manifestazione e che la manifestazione è nella dualità, ma che questa dualità è creata all’interno della unicità dell’Assoluto immanifesto (o Nuomeno). La totalità della manifestazione non è qualcosa proiettato dalla coscienza quando vibra in attività; i vari oggetti che costituiscono la manifestazione, non hanno sostanza o natura propria al di fuori della coscienza che, essa stessa, è il percepire e il conoscere i fenomeni. Il fatto è che tutta la manifestazione, tutti i fenomeni, sono apparizioni nella coscienza, percepiti dalla coscienza e conosciuti dalla coscienza, attraverso l’interpretazione della mente.
- Gli opposti concepiti fenomenicamente, Tempo ed Atemporalità, diventano uniti nella mutua negazione del relativo, cioè, nella totalità, nell’intero. È questa basilare, essenziale unità la vera prospettiva; perdendola, perdete anche il vostro equilibrio cadendo nell’abisso di Maya (illusione). Qualunque cosa possiamo pensare o dire dell’Assoluto Atemporale, può essere soltanto concettuale, soltanto un’indicazione che non potrà mai rivelarci cos’è l’atemporalità, perché questo è ciò che siamo. Tutto ciò che possiamo dire è: Io sono qui ed ora, essendo “qui” nell’assenza di spazio ed “ora” nell’assenza di tempo. Anche dire questo è forse dire troppo. Non è il dire o l’udire che importa. Ciò che importa è l’istantanea percezione del fatto.
Concettualizzazione
e oggettivazione
Nessuno è
nato; nessuno muore. Ciò che è nato è soltanto un concetto.
Nessuna
verità rimane verità nel momento in cui ottiene espressione. Diventa un
concetto!
- Quando la Coscienza Impersonale si personalizzò per mezzo dell’identificazione con l’oggetto senziente, pensando ad esso come “io”, l’effetto fu di trasformare 1’“io”, essenzialmente il soggetto, in un oggetto. È questa oggettivazione della pura soggettività (che limita l’illimitato potenziale), questa falsa identità che può essere definita “schiavitù”. È da questo “considerarsi un’identità” che viene cercata la libertà. La liberazione perciò non può essere null’altro che la percezione o l’immediata comprensione del falso come falso, il vedere che l’auto-identificazione è falsa. La liberazione e vedere che c’è soltanto la coscienza che cerca la sorgente immanifesta della manifestazione, e non il trovarla, perché il cercatore stesso è il cercato!
- Nella manifestazione relativa, i fenomeni vengono concettualizzati nella coscienza come “me” e ciascun oggetto, assumendo identità soggettiva, conosce gli altri oggetti come “altri”, ma noumenicamente, c’è soltanto il soggettivo “io” senza alcuna dualità.
- Nella concettualizzazione, perché siano conoscibili, le apparizioni, gli oggetti, devono avere ricevuto due nozioni senza le quali non potrebbero essere percepibili a livello sensoriale; devono avere ottenuto forma o volume nello spazio e durata nel tempo, al fine di poter essere conosciuti.
- Gli esseri umani sono semplici forme concettuali, non più reali delle figure di un sogno. Soltanto il corpo è soggetto alla nascita e alla morte e non il sé che non solo è senza età, ma è al di là della morte e della nascita.
- Tutti noi “esistiamo” soltanto come oggetti, come semplici apparizioni nella coscienza che ci conosce. C’è realmente una prova che “noi” (che cerchiamo la prova della Realtà) esistiamo in maniera diversa dagli oggetti di cognizione nella mente di qualcun’altro? Quando cerchiamo la prova della verità, ciò che stiamo cercando di fare equivale ad un’ombra che cerca la prova della sostanza. Non è allora tutta l’esistenza puramente oggettiva in quanto tu esisti soltanto nella mia coscienza ed io nella tua? Ciò che chiamiamo la nostra esistenza è semplicemente nella mente di qualcun’altro e, perciò, soltanto concettuale.
- Questo processo di oggettivazione avviene necessariamente nella coscienza che è la sorgente di tutto il concettualizzare e perciò, in effetti, i cosiddetti soggetto-conoscitore e oggetto-conosciuto sono entrambi oggetti fenomenizzati nella coscienza come figure di sogno. Ma, quell’oggetto-conoscitore (che conosce l’oggetto-conosciuto) assume l’identità del soggetto come fosse un’entità separata - un “sé” - e dà all’oggetto conosciuto una identità come l’“altro”. Così nasce il concetto dell’“individuo” attraverso l’illusione, il potere di Maya.
- La manifestazione dei fenomeni non è null’altro che il processo del funzionamento della coscienza dove non c’è questione di una entità individuale. Tutti sono oggetti, figure di sogno che funzionano nei loro ruoli rispettivi. Le nostre miserie sorgono soltanto attraverso l’accettazione della responsabilità, “facendoci carico” dei nostri rispettivi ruoli di sogno, come fossero noi stessi, identificando ciò-che-siamo con l’elemento soggetto-conoscitore nel processo della oggettivazione. È questa illusoria e totalmente non necessaria identificazione che causa la “schiavitù” e tutta la risultante miseria per l‘individuo illusorio. Ancora una volta: Ciò-che-non-siamo è soltanto un concetto e questo concetto sta cercando ciò-che-siamo. Il condizionamento - il fraintendimento - può essere superato soltanto da una appropriata comprensione di ciò-che-siamo e ciò-che-non-sìamo. Sarà allora chiaro che la “schiavitù” e l’“individuo” che ne soffre, sono entrambi semplici concetti e che ciò-che-siamo, il noumeno, può manifestarsi soltanto come totale fenomeno.
- Che cosa facciamo da mattina a sera (eccetto durante il sonno profondo) al di fuori dell’oggettivare continuamente? Ed il corpo umano, che in effetti non è null’altro che un apparato psicosomatico, è capace di “fare” qualcosa al di fuori del produrre immagini illusorie ed interpretazioni? Qualunque cosa pensiamo di noi stessi (e questa immagine continua a cambiare di momento in momento e non c’è nulla di stabile in essa) “noi” non possiamo essere altro che una parte integrante della manifestazione totale e del totale funzionamento ed in nessuna maniera possiamo esserne separati.
- La causa fondamentale della confusione, è l’erroneo credere ci sia un’entità, un’entità oggettiva, autonoma, a sperimentare gli avvenimenti che chiamiamo “nascita” e “morte” e la durata tra i due, chiamata “vita”. In realtà, tutte queste sono semplici immagini concettuali nella coscienza, hanno la stessa sostanza delle immagini viste alla televisione o in un sogno. Cercate di comprendere che cosa sono i fenomeni; tutti i fenomeni. Essi sono soltanto apparizioni nella coscienza. Chi li percepisce? La coscienza stessa, attraverso il meccanismo dei concetti gemelli di spazio e tempo, senza i quali le apparizioni non avrebbero una forma percepibile e non potrebbero essere conosciuti. E la cognizione stessa avviene attraverso una divisione della mente (essendo la mente il contenuto della coscienza) in soggetto ed oggetto, il ragionamento e il processo di selezione basato sulla dualità degli opposti interdipendenti: amore ed odio, felicità ed infelicità, peccato e merito, eccetera. Una volta che questo processo viene correttamente osservato, si può facilmente comprendere che non ci può essere un individuo effettivo che nasce, vive e muore. C’è una manifestazione, un’apparizione nella coscienza, generalmente conosciuta come “essere nati”. Un’illusione nello spazio. Quando questa apparizione manifesta termina la sua durata temporale e giunge alla sua fine, avviene un’altra illusione, nella temporalità, conosciuta come “morire”. Questo semplice processo non può essere percepito in quanto tale sino a che uno persiste nel credere ad un’“entità”, che vive una vita e che “muore” una morte.
- Per quanto concerne ciò che tu chiami un individuo, perché non esamini questo fenomeno analiticamente, naturalmente con mente aperta, dopo avere abbandonato tutto l’esistente condizionamento mentale e le idee preconcette? Se lo fai, che cosa scoprirai? Il corpo è semplicemente un costrutto fisico per la forza vitale (Prana) e la coscienza che costituiscono una sorta di apparato psicosomatico; e questo “individuo” non fa null’altro che rispondere a stimoli esterni e produrre immagini ed interpretazioni illusorie. inoltre, questo individuale essere senziente può esistere soltanto come un oggetto nella coscienza che lo conosce! È semplicemente un’allucinazione.
- L'universo oggettivo proietta e dissolve innumerevoli forme; il quadro continua a cambiare costantemente. Ma in che modo "io" sono coinvolto con questo? Sono semplicemente il testimone di tutto questo avvenimento. Qualunque cosa accada durante il periodo dell'avvenimento, in ogni caso, influenza soltanto l'apparato psicosomatico, non l' "io" che io sono. Basilarmente questa è la mia "conoscenza". Una volta che è chiaro che qualunque cosa accada nel mondo manifesto è separata da me, come "io", tutte le altre questioni si risolvono. Dobbiamo ammirare l’opera fatta dalla coscienza “attraverso” queste varie forme fisiche, ma non le persone individuali che non sono null’altro che fenomeni concettuali. Tutti i me ed i tu e la terra, il cielo, la luna e le stelle, non sono forse semplici immagini concettuali nella coscienza? “Qual è il principio o il meccanismo concettuale dietro alla creazione del mondo? L’intera creazione del mondo è concettuale.
- Qualunque cosa i sensi percepiscano e la mente interpreti e un’apparizione nella coscienza estesa nello spazio-tempo e oggettivata, in un mondo che il soggetto che conosce (cioè voi) considera come separato da se stesso. Qui sta l’errore: in questo processo la percezione non è totale. Ciò che è necessario è il vedere integrale, vedere non con la mente individuale che è una mente divisa, ma vedere dall’interno, dalla sorgente - vedere non dalla manifestazione come un fenomeno ma dalla sorgente di ogni vedere. Allora, soltanto allora, ci sarà totale percezione e corretto vedere ed apprendere.
- Tutta l’“esistenza” è un continuo processo di oggettivazione. Noi esistiamo solamente come gli oggetti di un altro e, come tali, soltanto nella coscienza che ci viene a conoscere. Quando cessa l’oggettivazione, come nel sonno profondo, l’universo oggettivo scompare. Fino a che uno immagina se stesso come un’entità separata, una persona, non può vedere l’immagine totale della realtà personale. E l’idea di una personalità separata è dovuta all’illusione dello spazio e del tempo che, in se stessi, non hanno esistenza indipendente poiché sono soltanto strumenti, semplici mezzi per rendere la manifestazione conoscibile.
- Quando pensate a qualcosa come “esistente”, lo pensate soltanto in termini di qualcosa di oggettivo, con una forma. Siete preoccupati soltanto del fenomeno oggettivo, laddove io vedo tutti gli oggetti, inclusi voi, come null’altro che apparizioni nella coscienza e perciò non esistenti. E la soggettività come tale, senza alcuna qualità oggettiva, ovviamente non può esistere. Allora, che cosa esiste? Non ci può essere una cosa come l’esistenza o la non esistenza!
- Tutto quello che facciamo, tutto il giorno e giorno dopo giorno, non è null’altro che oggettivare. In effetti, la manifestazione è essa stessa null’altro che una continua oggettivazione, Tutta la conoscenza è concettuale, perciò, non vera. Percepite direttamente ed abbandonate la ricerca della conoscenza.
- Ad ogni individuo tutto ciò sembra la sua propria azione ed esperienza, ma il fatto fondamentale è che nessun oggetto fenomenico (e questo è tutto ciò che un essere senziente è, relativamente) può avere alcuna esistenza indipendente sua propria. Una volta che questo è chiaramente capito, ne seguirà automaticamente che tutta la responsabilità e la colpa sono anch’essi concetti immaginari, basati sulla erronea nozione che un essere senziente abbia esistenza indipendente, autonomia e scelta d’azione.
- Un oggetto non può presumere di comprendere il suo soggetto; è impossibile per un’ombra comprendere la sostanza di cui è composta. Finché c’è un “individuo” concettuale che si identifica con il corpo (che è semplicemente un apparato psicosomatico, un “oggetto”) come entità autonoma, può essere possibile per lui comprendere qualcosa dell’Assoluto, che è totalmente non toccato dall’oggetto?
- Lo sforzo stesso del cercare è un’astrazione, perché lo strumento con cui cercherete è una mente divisa, un soggetto concettuale che cerca un oggetto concettuale.
- Qualunque emozione sentimento si sperimenti, è un movimento nella coscienza. Quando si prova dolore o infelicità, significa che un evento non ha soddisfatto la necessità o il bisogno che viene sentito in quel momento. Comunque, l’evento che può causare dolore ad un individuo, può dare felicità ad un altro; ed ancora, un evento che ha causato infelicità ad una particolare persona in un certo momento, potrebbe dargli felicità in un altro, dipendendo da ciò che egli pensa di volere a quel tempo.
- Quali sono i fattori coinvolti in ciò che uno considera un’esperienza di felicità o infelicità, piacere o dolore?
i.
ci deve essere
coscienza;
ii.
ci deve essere il
concetto di un’entità, una persona con i suoi bisogni;
iii.
ci deve essere un
evento nello spazio-tempo.
- Un evento può avvenire e ci può essere anche la persona con le sue necessità, ma se non c’è coscienza, non sarà coinvolto né con l’evento, né con il suo effetto. È la coscienza il fattore principale e l’agente! In effetti, “ciò-che-io-sono” non era nemmeno consapevole della propria esistenza sino a che non arrivò la conoscenza “io sono”. In quello stato originale non c’era possibilità di nessuna necessità, bisogno, speranza, desiderio, ambizione, piacere e dolore; tutto questo venne insieme con il corpo. Anche dopo l’arrivo della coscienza, ciò che veniva sentita era una presenza conscia in quanto tale, “io sono” (non io sono questo o quello). È soltanto dopo che la coscienza si è identificata con la sua forma esterna che l’entità nozionale è venuta in essere. E questa entità non è null’altro che un concetto. Non ha esistenza indipendente sua propria. Insieme con la coscienza giunge il concetto di spazio-tempo, senza il quale il fenomeno manifesto non può essere percepito. Affinché la manifestazione sia percepibile a livello sensoriale, deve necessariamente avere un volume che non è possibile senza avere il concetto di spazio; e affinché la manifestazione sia estesa come un evento, nella durata, c’è bisogno del concetto di tempo. La felicità e l’infelicità e tutti i diversi opposti o contrari interdipendenti non esistono realmente in se stessi; essi non possono esistere in se stessi in quanto non sono null’altro che oggettivazioni concettuali nello spazio-tempo. E se questi contrari venissero in qualche momento sovrapposti l’uno all’altro, si cancellerebbero tra loro e ritornerebbe l’equilibrio.
- Qualsiasi tentativo di trovare la prova della verità coinvolgerebbe una divisione della mente in soggetto ed oggetto e quindi la risposta non potrebbe essere la verità, poiché non c’è nulla di oggettivo a riguardo della verità, che essenzialmente è pura soggettività.
- Se soltanto percepiste, profondamente ed intuitivamente, ciò che eravate prima di acquisire questo corpo-con-coscienza, diciamo cento anni fa, persino dall’interno di questa prigione fisica vedreste il mondo senza il senso di dualità, non dalla vostra identità come centro individuale illusorio. Il concettualizzare cesserebbe.
- Restate nel vostro stato originale di integrità, lo stato in cui eravate prima di “nascere”, quando non c’era la conoscenza io sono, e perciò, non c’era necessità o bisogno di sorta. Ogni sofferenza terminerà non appena resterete nella pura consapevolezza del falso come falso, del transitorio come transitorio. Una volta che vedete che il falso ed il transitorio dipendono, per la loro esistenza, dal concetto di spazio-tempo, siete più vicini al vostro vero essere.
- Nell’attuale situazione tu sei come una bambina di cinque anni che sia stata abbigliata con bei vestiti e graziosi ornamenti. Quella stessa bambina tre anni prima avrebbe ignorato i bei vestiti e i begli ornamenti, o li avrebbe accettati come un fastidio forzato imposto dai suoi genitori, ma ora, dopo il condizionamento ricevuto nel frattempo, la bambina non vede l’ora di uscire per rallegrarsi dell’invidia delle sue piccole amiche che non possiedono quegli abiti eleganti. Ciò che è accaduto, tra l’infanzia e la fanciullezza, è esattamente l’ostacolo per vedere la tua vera natura. L’infante, a differenza del bambino, trattiene ancora la sua personalità ed identità soggettiva. Prima del condizionamento fa riferimento a se stesso così com’è, si considera semplicemente un “oggetto”, non come “me”, il conoscitore/soggetto.
- La Verità deve essere percepita; quando vi si dà espressione, diventa un concetto. La percezione di questa verità sorge soltanto dall’intensa esperienza personale, non dallo studio di testi religiosi. Tu sei seduto là, io sono seduto qui e c’è il mondo all’esterno e, per il momento, possiamo presumere che ci deve essere un Creatore, diciamo, Dio. Questi tre o quattro aspetti, sono fatti o esperienza, non “sentito dire”.
- Quando cessa la concettualizzazione, ogni dualità giunge alla fine. Quando cessa il concettualizzare, non c’è né fenomeno né noumeno e ciò che rimane è pura soggettività; nessuna esperienza di nessun tipo e nessuno a richiedere alcuna esperienza! Per dirla brevemente: Tutte le controparti interdipendenti sono inevitabilmente separate soltanto come concetti ed essenzialmente inseparabili altrimenti. Un’ombra vuole conoscere “perché"? Uno dei caratteri recitati da un singolo attore che assume vari ruoli nella stessa recita vuole conoscere perché? La risposta potrebbe ben essere: perché no?
- Una volta che realizzate che è l’entità concettuale che immaginate di essere a soffrire, vi risvegliate in quella totalità della vostra vera natura, in cui la santità e la cura sono implicitamente contenuti.
- Chi deve fare Sadhana e per quale scopo? Non è sufficiente vedere il falso come falso? L’entità che tu pensi di essere è falsa. Tu sei la realtà. Una volta che questo viene compreso, o piuttosto, percepito intuitivamente, che un’entità è puramente una nozione concettuale, ciò che rimane è semplicemente una re-integrazione - Yoga - nella universalità. Nulla rimane più da fare perché non c’è nessuno a farlo e, ancora più importante, nessuno nemmeno ad astenersi dal farlo!
- Chi sta pensando in termini di trasformazione, di cambiamento da uno stato ad un altro; chi sta pensando in termini di miglioramento? Sicuramente, non è che un’apparizione nella coscienza, un personaggio di un film, un individuo in un sogno, una pseudo-identità sognata che si considera soggetta al lavorio del Karma. Come può un tale personaggio sognato, “perfezionarsi” in qualcos’altro che non sia il suo sognato sé? Come potrebbe un’ombra perfezionarsi nella sua sostanza? Come potrebbe esserci un “risveglio” dal sogno, a parte il sognatore che risolva la vera identità della sorgente del sogno, la manifestazione? Il “risveglio” consiste nell’apprendere che non c’è un’entità individuale che percepisce il mondo fenomenico, ma che la natura essenziale e lo scopo di tutti i fenomeni è semplicemente il percepire i fenomeni, cioè, il funzionamento in questo quì-ed-ora; apprendere che ogni essere senziente - io - come sorgente potenziale di tutta l’esperienza, sperimenta l’universo apparente oggettivamente, attraverso un apparato psicosomatico. Il primo passo per comprendere tutto questo sta nell’abbandonare il concetto di un “io” attivo e volitivo come entità separata ed accettare il ruolo passivo del percepire e del funzionamento come un processo.
- Ci deve essere una finale e totale negazione cosicché il negatore stesso scompaia! Ciò che stai cercando di fare è di comprendere ciò che sei per mezzo di un concetto di “esistenza”, laddove in realtà “io” (tu) né sono, né non sono, “io” sono al di là del concetto stesso dell’esistenza, al di là del concetto della presenza, sia positiva che negativa. Se non lo comprendi profondamente, continuerai a creare le tue ostruzioni immaginarie ciascuna più potente della precedente. Ciò che stai cercando di scoprire è ciò che già sei.
- Ti è chiaro che tu sei prima di tutto il concettualizzare? Ciò che tu sembri essere come fenomeno non è null’altro che concettuale. Ciò che tu realmente sei non può essere compreso per la semplice ragione che nello stato della non-concettualità non ci può essere nessuno a comprendere ciò che uno è!
- Noi possiamo esistere soltanto come oggetti l’uno dell’altro; ed anche questo soltanto nella coscienza del conoscitore-soggetto che ci conosce, ogni oggetto assumendo la posizione del soggetto-conoscitore (Vyakti) di fronte agli altri che diventano gli oggetti. E qui sorge l’ “entità” (Vyakti). Il conoscitore-soggetto, nel considerare la sua funzione soggettiva, si considera un’entità, un “sé” autonomo, indipendente con volizione e scelta. Questa entità-fantasma, poi, persegue ulteriormente il principio del “dualismo” (che è la base stessa della manifestazione) al fine di comparare, discriminare, dare un giudizio e scegliere tra i suoi oggetti dal punto di vista degli opposti relazionati come giusto e sbagliato, bene e male, accettabile e non accettabile, eccetera. È questo illusorio "considerarsi un’entità” e non semplicemente I’identificazione con il corpo, che è alla radice della “schiavitù”. Ancora una volta: Ciò che siamo, il noumeno-Assoluto (Avyakta), manifesto come la totalità dei fenomeni (Vyakta), è privo di qualunque esistenza oggettiva individuale. Perciò, ciò che siamo non può soffrire alcuna “nascita” o “morte”, né schiavitù o liberazione. Sia la schiavitù che la risultante sofferenza sono puramente concettuali, basati sulla identificazione con la totalmente immaginaria entità-soggetto-conoscitore (Vyakti).
- Le innumerevoli forme dei fenomeni nella relatività, sono tutti oggetti dell’Assoluta soggettività - “Io”, la base della manifestazione essendo la dualità di soggetto ed oggetto, ogni oggetto essendo l’“altro" per qualunque oggetto che lo stia percependo nella sua qualità di presunto soggetto. Nessun singolo oggetto ha esistenza indipendente in quanto tale. Siamo tutti semplici apparizioni nella coscienza, concetti nella mente, ciascun essere senziente essendo nulla di più che il suo stesso concetto ed i concetti di coloro che egli considera come “altri”.
- Se tu non hai esistenza indipendente, come puoi agire? In effetti agisci? O reagisci soltanto ad uno stimolo esterno come una marionetta? Se tu sedessi immobile, tranquillo, e vedessi ciò che accade, realizzeresti rapidamente che noi non “viviamo” realmente ma “veniamo vissuti”; che la vita, come tale, non è nulla di più di ciò che potrebbe essere chiamato un apparente funzionamento; apparente perché tutto il funzionamento è, ancora, nulla di più di un’apparizione panoramica nella coscienza. Se non c’è coscienza, come nel sonno profondo o sotto l’effetto di sedativi, non c’è nemmeno funzionamento.
- Questo apparato psicosomatico è soltanto un concetto spazio-temporale e come tale non ha esistenza indipendente perciò non può agire indipendentemente, a dispetto delle apparenze contrarie. Comprendiamo questo fatto basilare. Che cos’è allora la vita? La vita in questo universo non è null’altro che il “funzionamento della manifestazione" a dispetto di ciò che ciascun individuo possa pensare. Viste in questa prospettiva, le varie manifestazioni distruttive, come alluvioni e terremoti perdono la loro importanza negativa. Ogni corpo non è null’altro che cibo per qualcun’altro - un topo per un gatto, un uomo o la bestia per un leone, l’agnello o il pollo per l’uomo e così via. Così ciò che è buono per uno è cattivo per un altro; in effetti, qualunque evento sembri avvenire, non costituisce null’altro se non il funzionamento della manifestazione.
- Tutto il “pensare”, “concettualizzare”, “oggettivare” deve cessare. Perché? Perché ciò che “È” non ha il minimo tocco di oggettività. È il soggetto di tutti gli oggetti e non essendo un oggetto non può essere osservato. Gli occhi vedono ogni altra cosa, ma non vedono se stessi.
- Che cosa deve fare uno, quali sforzi deve fare per smettere di concettualizzare”? La risposta è: Nulla; nessuno sforzo. Chi c’è a fare lo sforzo? Quale sforzo avete fatto per crescere da una minuscola cellula di sperma ad un infante pienamente cresciuto nel grembo di vostra madre? Quali sforzi può fare un “Io” concettuale, illusorio, per conoscere la sua vera natura? Quali sforzi può fare un’ombra per conoscere la sua sostanza? Realizzare la propria vera natura non richiede nessuno sforzo fenomenico. L’illuminazione non può essere conseguita, se è forzata. Può soltanto accadere quando le viene data l’opportunità di farlo, quando l’ostruzione da parte dei concetti cessa. Può apparire soltanto quando ottiene uno spazio vacante in cui apparire. Se qualcun’altro deve occupare questa casa, io innanzitutto devo liberarla. Se l’ “io” concettuale sta già occupando lo spazio, come può entrare l’illuminazione? Che 1’“Io” concettuale se ne vada e dia all’illuminazione la possibilità di entrare.
- Quando un oggetto viene visto come oggetto, ci deve essere un soggetto diverso dall’oggetto. Nella percezione del Jnani non c’è né il soggetto che vede né l’oggetto che viene visto; c’è soltanto il “vedere”. In altre parole, la percezione del Jnani è precedente a qualunque interpretazione da parte delle facoltà sensoriali. Anche se è avvenuto il normale processo dell’oggettivazione, il Jnani, nella sua prospettiva, ha preso nota di questo fatto ed ha visto il falso come falso. Il Jnani nella sua visione indivisa, ha percepito che, fisicamente, sia colui che vede che il visto sono oggetti e che il funzionamento della coscienza produce semplicemente effetti nella coscienza stessa. Sia il produrre che il percepire sono fatti dalla coscienza, nella coscienza. Cerca di comprendere questo. In breve, il vedere del Jnani è il vedere totale, o il vedere intuitivo, vedere senza alcuna qualità oggettiva.
- Ciò che in realtà accade è che non c’è qualcuno che percepisce in quanto tale, ma soltanto il percepire degli oggetti concettuali, che si muovono nello spazio concettuale, nella durata concettuale Non sono tutti questi, chiaramente gli aspetti del sogno che sperimentiamo quando siamo addormentati? Quando il sognatore si risveglia, il sogno termina e colui che è sveglio non è più coinvolto dalle altre “entità” del sogno. Similmente, nel sogno-vivente, colui che è sveglio (colui che realizza che nulla di percepibile da parte dei sensi, inclusa l’“entità” che uno ritiene di essere, può mai essere qualcos’altro al di fuori di una mera apparizione nella coscienza) non è più coinvolto con le altre figure di sogno nel sogno-vivente. Il risvegliato realizza di essere l’Assoluta Soggettività incondizionata, sulla quale la vibrazione della coscienza diede inizio, spontaneamente, a questo sogno-vivente, senza causa né ragione, e semplicemente “vive” il sogno, sino a che, alla fine del tempo designato, la coscienza ancora una volta, spontaneamente si fonde nell’Assoluta Soggettività.
- Ciò che rimane è pura non volizione, ovvero “venir vissuti” perché, relativamente, siamo soltanto marionette in un mondo di sogno che vengono manipolate nel sogno stesso. È il sognatore individuale che deve risvegliarsi dal suo sogno individuale; E questa percezione è essa stessa il risveglio! L’“entità” personale e l’illuminazione non possono andare insieme.
Il Sonno
Profondo
- Nel sonno profondo la coscienza si ritira in uno stato, per così dire, di riposo. Quando la coscienza è assente, non c’è il senso della propria esistenza o presenza, tanto meno l’esistenza del mondo e dei suoi abitanti o di qualunque idea di schiavitù e liberazione. Questo è dovuto al fatto che lo stesso concetto “io” è assente.
- Quando nel sonno profondo la coscienza riposa, l’oggettivazione necessariamente cessa; e così anche l’universo oggettivato. Nel sonno profondo, non c’è sé, non c’è mondo, non c’è Dio. Ciò che consideriamo “fare” non è null’altro che oggettivazione.
- Nel sonno profondo, quando la coscienza riposa e la mente è completamente immobile, non c’è questione di esistenza dell’individuo interessato o di altri individui ed oggetti che formano il “mondo”. Nel sonno profondo uno non attraversa nessuna esperienza, né di dolore né di piacere, perché qualunque esperienza può sorgere soltanto come un movimento nella coscienza.
- Nel sonno profondo, per esempio, sia lo spazio che il tempo scompaiono, ed insieme ad essi scompare tutta la manifestazione perché la dualità può esistere soltanto nella concettualizzazione. Se il pensiero si ferma, tutta la dualità scompare. I fenomeni, in altre parole, non possono essere concepiti senza il noumeno, né il noumeno senza il fenomeno.
- Nel sonno profondo, l’universo apparente non è, ma noi siamo. Nel sonno profondo non c’è sogno e perciò, non c’è universo.
- Nel sonno profondo non c’è coscienza (sta riposando) ma la consapevolezza è certamente là, perché nel risvegliarsi uno è consapevole di aver dormito, ma soltanto al risveglio.
- Nel sonno profondo o sotto l’effetto di sedativi, non ti identifichi con questo corpo. Ciò che realmente accade è che l’apparizione del tuo corpo nella coscienza è percepita ed interpretata da te, esattamente come da qualunque altro osservatore. La tua interpretazione di te stesso è illusoria quanto quella degli altri.
- Il mondo scompare nel sonno profondo e riappare nello stato di veglia, la durata della sua apparizione varia secondo la durata della vita. Sia lo stato di veglia che lo stato di sonno profondo sono periodi che si alternano nella coscienza in manifestazione.
- Quando questo Io sono non è presente come nel sonno profondo, non c’è corpo, non c’è mondo esterno e non c’è “Dio”. È evidente che un minuscolo granello di questa coscienza contiene l’intero universo.
- Quando eri nel sonno profondo, il mondo fenomenico esisteva per te? Non puoi intuitivamente e naturalmente visualizzare il tuo stato originario - il tuo essere originario - prima che questa condizione corpo-coscienza si imponesse su di te non richiesta? In quello stato eri conscio della tua “esistenza”? Certamente no.
- Ora, che la coscienza si è manifestata in un apparato fisico, potresti fare a meno del sonno profondo? La coscienza, il sonno profondo, lo stato di veglia, la durata nel tempo, tutto costituisce lo stesso concetto associato con la manifestazione. Come potrebbe ciò essere mai comparato alla Consapevolezza Immanifesta che è atemporalità, pura soggettività senza il minimo tocco di oggettività?
- Come può lo stato di sonno profondo, che si alterna allo stato di veglia nella coscienza, essere il nostro vero stato? La coscienza stessa è vincolata nel tempo e dipende dal corpo-cibo per la manifestazione e il suo sostentamento. Lo stato del sonno profondo perciò, è altrettanto una condizione fisica con una durata che si alterna allo stato di veglia. La ragione per cui è scambiato per la consapevolezza non - oggettiva - dove la consapevolezza non è consapevole di se stessa - è che durante il sonno profondo la coscienza temporaneamente si ritira nel riposo. L’importante differenza da notare è che lo stato di sonno profondo è simile alla Consapevolezza soltanto nella misura in cui la coscienza allora non è conscia di se stessa. Comunque, questo stato è allo stesso tempo “in movimento” in quanto ha una durata oltre la quale lo stato di veglia ancora sopraggiunge. Il senso di presenza che prevale durante lo stato di veglia, è assente nello stato di sonno profondo. Lo stato della Consapevolezza - ciò che realmente siamo - d’altra parte, è la totale mancanza sia della presenza che dell’assenza del senso di presenza.
Nel Sogno
- In un sogno, mentre il tuo corpo sta riposando nel letto, hai creato un intero mondo parallelo a quello che chiami il mondo “reale” - in cui ci sono persone - incluso te stesso. Come ti vedi nel tuo sogno? Mentre stai sognando, il tuo mondo di sogno ti appare molto reale. Non è così? Una volta che il sognatore si risveglia, l’intero mondo di sogno con tutte le sue “realtà” allora esistenti, collassa nella coscienza in cui era stato creato. Nello stato di veglia, il mondo emerge a causa del seme dell’ignoranza (Maya, coscienza, esistenza, Prakriti, Ishwara, eccetera) e tu sei portato in quello che io chiamerei uno stato di sogno ad occhi aperti. Sia il sogno che la veglia sono stati concettuali nel sogno della vita. Sogni di essere sveglio, sogni che sei addormentato - e non realizzi che stai sognando perché sei ancora nel sogno. In effetti, quando realizzi che questo è tutto un sogno, sarai già “risvegliato”! Soltanto il Jnani conosce la vera veglia ed il vero sonno.
- Non potrebbe essere che sogniamo di essere svegli, che sogniamo di essere addormentati e che per tutto il tempo la vita viene vissuta? Tutto un prodotto della mente che sogna, l’oggettivazione che ha luogo nella coscienza.
- Come sai che questo mondo che chiami “reale” non è anch’esso un sogno? È un sogno dal quale ti devi risvegliare vedendo il falso come il falso, l’irreale come irreale, il transitorio come transitorio; esso può “esistere” soltanto nello spazio-tempo concettuale. E poi, dopo un tale risveglio, sei nella Realtà. Allora vedi il mondo come “vivente”, come un sogno fenomenico alla periferia della percezione sensoriale, nello spazio-tempo con una presunta libertà volitiva.
- Noi siamo il contenuto di questo sogno-vivente, attori in questo dramma vivente. E gli attori possono soltanto recitare i loro ruoli, nulla di più.
L’Amore
Amore è
astenersi dalla discriminazione, come “me” e l’ “altro”. In altre parole, è
unità di esistenza..
- Che cosa intendi realmente quando usi la parola “amore”? La parola “amore” non sta a significare basilarmente una “necessità” di qualche sorta, in quanto ami la persona o la cosa che soddisfa la tua necessità?
- Che cosa vuoi proteggere? Quello che “ami” di più. Cos’è che si ama maggiormente? Qualcosa di cui si ha maggiormente “bisogno”. E di cosa si ha maggiormente bisogno? Dì qualcosa senza il quale nient’altro ha significato, nient’altro ha valore. Non è forse il senso di presenza che anima la coscienza, senza la quale non puoi conoscere nulla, né gioire nulla? Questo “bisogno” più prezioso è la coscienza che tu vuoi “proteggere” ad ogni costo ed il modo migliore di proteggere qualcosa è di non esserne lontani, rimanere unito alla coscienza costantemente.
- Considera qual è il possesso più prezioso di qualunque essere senziente. Se egli potesse scegliere tra possedere tutta la ricchezza del mondo o la sua “esistenza”, o “coscienza” (puoi darle qualunque nome in aggiunta alle migliaia che già le sono state attribuite), quello che gli dà la sensazione di essere vivo e presente e senza il quale il corpo non sarebbe null’altro che un cadavere, che cosa sceglierebbe? Ovviamente, senza coscienza, tutta la ricchezza del mondo non gli sarebbe di utilità.
- Questa presenza conscia, non può essere null’altro che Dio. È questo che uno ama più di qualunque altra cosa perché senza di ciò non c’è universo, non c’è Dio. Questo, perciò, è Presenza-Amore-Dio. L’amore per il sé e l’amore per Dio non sono diversi.
- Che cos’è esattamente questo “Dio” di cui stiamo parlando? Non è forse la coscienza stessa - il senso di “essere” che uno ha e a causa del quale sei in grado di porre domande? “Io sono” stesso è Dio. Che cos’è che ami maggiormente? Non è questo “Io sono”, la presenza conscia che vuoi preservare ad ogni costo? La ricerca stessa è Dio. Nel cercare scopri che “tu” sei separato da questo complesso corpo-mente. Se tu non fossi conscio, esisterebbe il mondo per te? Ci sarebbe alcuna idea di un Dio? E, la coscienza in te e la coscienza in me, sono differenti? Non sono forse separate soltanto come concetti, e questo cercare l’unità non concepita non è amore?
- Non pretendete di amare gli altri come voi stessi. A meno che non li abbiate realizzati come uno con voi stessi, non potete amarli così. Non pretendete di essere ciò che non siete, non rifiutate di essere ciò che siete. Il vostro amore per gli altri è il risultato della conoscenza del Sé, non la sua causa. Senza realizzazione del Sé, nessuna virtù è genuina. Quando conoscerete, al di là di ogni dubbio, che la stessa vita fluisce attraverso tutto e che voi siete quella vita, amerete tutto naturalmente e spontaneamente. Quando realizzerete la profondità e la pienezza del vostro amore per voi stessi, conoscerete che ogni essere vivente e l’intero universo sono inclusi nel vostro affetto.
La Morte
La morte è
totale annichilazione con assoluta irrevocabilità…
- La coscienza è una cosa nutrita e limitata dal corpo-cibo. Quando il corpo-cibo viene distrutto, anche la coscienza scompare. Ma attenzione, nessuno muore - il corpo, fatto dei cinque elementi, quando è senza vita si mischia con gli elementi e la coscienza che è soggetta ai tre Guna, ne diventa libera. Alla fine, comunque, tutto ciò che è un’apparizione nella coscienza deve finire e non può avere alcuna realtà.
- Non eravate forse “morti” prima di nascere? Cos’è l’oscurità se non assenza di luce? Cos‘è la “morte” se non assenza di “vita”, e ancora, non è la “vita” semplicemente assenza di “morte"? La “vita” comincia come un’immagine nella coscienza e quando l’immagine cessa di esistere, la chiamiamo “morte”. La paura della morte è in effetti un prodotto del desiderio di vivere, il desiderio di perpetuare la propria identità con l’entità illusoria di un “io”, in quanto separato da un “tu”. Coloro che conoscono la realtà, conoscono anche la falsità della “vita” e della “morte”.
La
Rinascita
- Tu sai che l’“entità” non è null’altro che un concetto, un’allucinazione che sorge quando la coscienza si identifica erroneamente con una particolare forma. Com'è potuta sorgere l’idea della rinascita? Forse è stata concepita come una sorta di teoria accettabile, sulla quale lavorare, per soddisfare la gente più semplice, non sufficientemente intelligente da pensare al di là dei parametri del mondo manifesto.
- Hai mai realmente pensato alla essenziale natura dell’uomo? Dimentica ciò che hai letto, ciò che ti è stato detto. Hai mai pensato in maniera indipendente a questa questione? Ripeto “indipendente”, quieto e profondo pensiero, come se tu fossi il solo essere senziente sulla terra e non ci fosse nessuno a guidarti? O a fuorviarti? Quali sono gli elementi essenziali di quello che consideri “te”? Ovviamente il corpo. Ma questo corpo che ora è giovane, in salute e forte, una volta era soltanto una piccola goccia di materia chimica, quando è avvenuto il concepimento nel grembo di tua madre. Pensaci. Hai fatto qualcosa per essere così concepito? Hai voluto essere concepito? Fosti consultato? Inoltre, e questo è importante, cos’è che era “latente” in quella minuscola goccia di materia che l’ha fatta crescere in un bambino pienamente sviluppato, con sangue, carne, midollo, ossa, innanzitutto nei grembo di tua madre e poi in questo mondo sino a che ora è seduta di fronte a me discutendo di filosofia? Il corpo, durante la sua crescita, ha assunto varie immagini che tu hai considerato “te”, in tempi diversi, ma nessuna singola immagine è rimasta con te costantemente; tuttavia c’è qualcosa che è rimasto senza alcun cambiamento. Non è forse il tuo senso di essere vivo e presente, la coscienza che dà capacità senziente ed energia all’apparato psicosomatico conosciuto come il “corpo”? Il mondo per te esiste soltanto se c’è questa coscienza. Se non sei conscio, come nel sonno profondo, può il mondo esistere per te? Ora hai qualche idea di ciò che ti fa istintivamente pensare a te stesso come a “te”; questo composto del corpo fisico, della forza vitale (Prana) che è il principio attivo e la coscienza che mette in grado i sensi fisici di percepire le cose. Ciò che tu sembri essere è il corpo esteriore, ciò che tu sei è coscienza. Ciò che è “nato”, il corpo oggettivo, nel dovuto corso “morirà”; poi sarà dissolto, cioè irrevocabilmente distrutto, la forza vitale lascerà il corpo e si mischierà con l’aria esterna. La parte oggettiva di ciò che una volta era un essere senziente sarà distrutta, per non rinascere mai più come lo stesso corpo. E la coscienza non è un oggetto, non è affatto una “cosa"; perciò, la coscienza in quanto non oggettiva, non può “nascere”, non può “morire” e certamente non può “rinascere”. Questi sono fatti indisputabili, fatti concernenti l’essere senziente, manifesto fenomenicamente. Come processo del funzionamento del noumeno, avviene la manifestazione del fenomeno in cui le forme vengono create e distrutte. Chi è nato? E chi muore? E chi deve rinascere? Se è così, puoi chiederti come sono sorti i concetti di Karma, causalità e rinascita. La risposta è che invece di avere accettato un fenomeno come manifestazione dell’immanifesto, è avvenuta una erronea identificazione con una pseudo-entità ed è stato creato un fantasma con una presunta esistenza autonoma. Si suppone che questo fantasma abbia scelta di decidere ed agire. È questo fantasma che si suppone sia nato, viva, soffra e muoia. Ed in questo processo è questo fantasma che diventa soggetto al processo della causalità conosciuto come Karma, accetta la presunta “schiavitù” e “rinascita” e cerca una immaginaria “liberazione”. In altri termini, sul naturale processo della manifestazione dei fenomeni viene sovrimposto un sé-fantasma, con una presunta esistenza autonoma indipendente e su questo sé-fantasma viene caricato il concetto degli effetti che risultano dalle immaginarie azioni volitive, cioè il Karma, la schiavitù e la rinascita!
- Il corpo “muore” e, dopo la morte, è distrutto, sepolto o cremato. Il corpo, in altre parole, è stato irreparabilmente, irrevocabilmente distrutto. Quel corpo, perciò, che era una cosa oggettiva, non può essere rinato. Come potrebbe allora essere rinato qualcosa di non-oggettivo come la forza vitale (il respiro), che alla morte del corpo si è fusa con l’aria esterna, o come la coscienza che si è fusa con la Coscienza Impersonale?
- L’entità che si suppone sia rinata non esiste, eccetto che come mero concetto! Come può un concetto essere rinato?
Liberazione
e Illuminazione
“Il risveglio
non può avvenire sino a che persiste l’idea di essere un cercatore”...
Sino a che
c’è un’entità che cerca la liberazione, non la troverà mai…
Il solo
“modo” di ritornare è la via dalla quale sei arrivato…
- Un fenomeno non può essere “liberato” perché non ha esistenza indipendente; è soltanto un’illusione, un’ombra. La coscienza che si è erroneamente identificata con il costrutto corpo-mente, diventerà consapevole della sua vera natura e si fonderà nella sua stessa sorgente. Poiché non c’è entità in quanto tale, la questione della schiavitù non sorge; se uno non è vincolato non c’è necessità di liberazione. Gli oggetti ed i loro Guna (attributi), non sono soggetto ed oggetto, com'è percepito dai sensi e interpretato dalla mente, ma sono tutti oggetti, inclusi gli esseri umani, semplici apparizioni nella coscienza; perciò gli oggetti non possono e non necessitano di essere “liberati”.
- Ciò che è semplicemente un fenomeno, senza alcuna esistenza indipendente propria, è considerato essere “reale" e da parte di questo fantasma vengono fatti sforzi per “diventare” qualcosa: un’ombra che insegue la sua sostanza. Laddove in effetti tu sei stato sempre la sostanza e mai l’ombra in schiavitù che cerca la liberazione. È divertente, ma questa è Maya!
- Non esiste un “individuo”; “l’individuo” non è null’altro che un’apparizione e un’apparizione non può avere nessuna “schiavitù” e, perciò, non c’è questione di “liberazione” per un’apparizione. Se la base stessa della vostra ricerca è errata che cosa mai potrete raggiungere?
- Chi è “costui” che pensa di dover fare e di raggiungere qualcosa? Una volta che viene compreso che un’entità è semplicemente un concetto erroneo, che un corpo come qualunque altro fenomeno è semplicemente un’esperienza nella coscienza e che non c’è nessuno ad esercitare alcuna volizione, dov’è la questione di qualcuno che fa qualcosa? Nessuna quantità di “fare” potrà raggiungere questo senza la totale scomparsa dell’erroneo concetto di una entità indipendente con autonomia di azione. L’“io" non può emergere senza la distruzione del “me”. Quando il “me” scompare, tu sei Io…
- Alcuni di voi vanno da altre parti dove sono felici di ricevere una lista di ordini e divieti. Ma quel che è peggio, è che mettono in pratica queste istruzioni con fede e diligenza. Ma ciò che non realizzano è che qualunque cosa pratichino come “entità”, rinforza soltanto la loro identificazione con l’entità illusoria e, perciò, la comprensione della Verità rimane più lontana che mai. Le persone immaginano che in qualche modo devono cambiare se stessi da esseri umani imperfetti ad esseri umani perfetti conosciuti come saggi. Se soltanto vedessero l’assurdità del loro pensiero. Colui che sta pensando in questo senso è egli stesso soltanto un concetto, un’apparizione, un personaggio in un sogno. Come può un semplice fantasma fenomenico risvegliarsi da un sogno perfezionandosi? Il solo “risveglio” è il percepire ciò che-si-è. In effetti non c’è questione di un “chi", in questo percepire, perché la percezione stessa è la propria vera natura; e il pre-requisito di tale percezione è la scomparsa del fenomeno. Ciò che è percepito è la manifestazione come totalità, non da parte di un “qualcuno” che rimane un osservatore separato. Il percepire è il totale funzionamento dell’Assoluto; il percepire è ciò che voi siete. L’universo che appare nella coscienza è uno specchio che riflette ogni essere senziente, cioè, la coscienza è la sorgente stessa dell’universo apparente. La coscienza non è diversa dal suo contenuto manifesto. E questo percepire non ha nulla a che fare con un “qualcuno”, con un fenomeno, un’apparizione nella coscienza, che è soltanto una parte infinitesimale del funzionamento totale. La profonda comprensione intuitiva di questo fatto è il solo “risveglio”, o “illuminazione”, la sola illusoria “liberazione” da un’illusoria “schiavitù”, il risveglio dal sogno-vivente.
- Esiste realmente una cosa come l’“illuminazione”? è semplicemente un nonsenso pensare alla necessità di illuminazione da parte di un individuo. Basilarmente c’è soltanto “io”; non ci sono un “me” o un “tu”, da illuminare. Come può un oggetto fenomenico, che è solo un’apparizione, essere trasformato dall’”illuminazione” in qualcosa di diverso da ciò che è, cioè una semplice apparizione? Quando avviene l’ “illuminazione”, c’è la percezione che ciò che crediamo essere la nostra condizione normale - quella di un oggetto fenomenico - è semplicemente una condizione temporanea, come una malattia sopraggiunta sul nostro normale, vero stato di noumeno. Viene realizzato improvvisamente che ciò che veniva considerato “normale”, in realtà non lo era. Il risultato di tale percezione è una sorta di istantaneo assestamento da un’esistenza individuale alla semplice esistenza in quanto tale; la volizione scompare e qualunque cosa accada sembra giusta ed appropriata. Uno assume la posizione di testimone di tutto ciò che accade o piuttosto, rimane soltanto il testimoniare.
- Esiste in effetti una cosa, una “persona”, un’entità individuale con scelta di azione indipendente a scegliere un particolare sentiero spirituale? in questo sogno-vivente della vita, noi non siamo i caratteri sognati che riteniamo di essere, ma siamo il sognatore, ed è la nostra erronea identificazione con il carattere sognato, come un’entità indipendente e separata che “agisce”, che causa l’illusione della schiavitù. Per la stessa ragione, quindi, il carattere sognato, una mera apparizione, non può essere “risvegliato” o “liberato”. Il risveglio può soltanto accadere, e può accadere soltanto quando c’è totale convinzione, attraverso la percezione intuitiva, che siamo il sognatore soggettivo e non gli oggetti sognati che scompaiono alla fine del sogno. L’identificazione con una entità immaginaria, indipendente, separata, deve scomparire totalmente prima che ci possa essere il risveglio, l’illuminazione o la liberazione.
- Che cos’è la “liberazione”? La liberazione, illuminazione, risveglio, non è null’altro che la profonda comprensione, il percepire: 1. che il seme di tutta la manifestazione è la coscienza impersonale, 2. che ciò che viene cercato e l’aspetto immanifesto della manifestazione e 3. che, perciò, il cercatore stesso è il cercato!
- Sebbene gli eventi accadano così naturalmente nel corso ordinario, questa entità concettuale che l’uomo è, si lascia influenzare da essi e soffre. E pensa alla “schiavitù” e alla “liberazione”. La liberazione è vedere la vita come una farsa e percepire che tu (l’“io” senza il minimo tocco di oggettività) non può essere un’entità di nessuna forma o nome, di nessun genere. La liberazione è percepire che gli oggetti senzienti sono parte della manifestazione del fenomeno totale, senza identità separate, che ciò che “io” sono è la capacità senziente in tutti gli oggetti senzienti, la presenza conscia come tale. La liberazione è percepire che “io”, l’Assoluto, nella mia espressione fenomenica, sono il funzionamento (il vedere, l’udire, il sentire, il gustare, l’odorare, il pensare) senza la presenza di nessun altro attore individuale. Ora, comprendi perché “soffri”? Perché sei un caso di erronea identità; o piuttosto perché hai accettato ciò che è ovviamente una erronea identità!
- La vostra nozione di schiavitù è semplicemente l’illusione che voi siete una entità autonoma, soggetta alla temporalità e alle cause-effetti del Karma.
- Il solo “modo” di ritornare è la via dalla quale sei arrivato. Chi è questo “tu” che sta cercando di ritornare da dove è giunto? Non importa quanto lontano tu possa andare inseguendo la tua ombra, l’ombra ti precederà sempre. Che cosa significa ritornare? Significa ritornare alla posizione in cui c’era totale assenza di coscienza. Tu sei - sei sempre stato - dove vuoi essere condotto. In effetti, realmente non c’è “dove” in cui tu possa essere condotto. La consapevolezza di questa posizione ovvia è la risposta, la semplice percezione; nulla da fare. E lo scherzo nello scherzo è che il tuo deliberato non fare nulla ostacolerà anch’esso l’avvenimento. È realmente semplice; il “fare” qualcosa e il “non fare” sono entrambi sforzi di volizione. Ci deve essere una totale assenza dell’“agente", la totale assenza di entrambi gli aspetti positivo e negativo del “fare”. Questo è il vero “abbandono”.
- Il risveglio o illuminazione o liberazione non è nulla, assolutamente nulla al di fuori del percepire profondamente, intuitivamente, che ciò che siamo, quello-che-è-quì-ed-ora, è l’assoluta assenza di qualunque cosa immaginabile o conoscibile; che equivale all’assoluta presenza dell’inconoscibile potenzialità.
- Non appena c’è la realizzazione, la differenza tra sé e gli altri scompare e naturalmente, insieme con essa, anche la paternità dell’azione della pseudo-entità. Perciò, una volta che avviene la realizzazione - comprendi che “uno” non “acquisisce” la realizzazione - il senso di volizione o desiderio, o scelta d’azione, non può rimanere. Non ci può essere una “persona” realizzata e, perciò, non c’è questione di come una persona realizzata agisca nel mondo.
- Come faccio a sapere se c’è progresso nella mia ricerca Spirituale? Come faccio a sapere se sto progredendo? Chi progredisce e verso cosa? Ho detto ripetutamente ed instancabilmente, che voi siete la Presenza Conscia, la coscienza animante che dona capacità senziente agli oggetti fenomenici; che voi non siete un oggetto fenomenico, che è meramente un’apparizione nella coscienza di coloro che lo percepiscono. Come può un’“apparizione” fare alcun “progresso” verso un obiettivo? Come può un’apparizione concettuale sapere se sta compiendo un progresso concettuale verso la sua liberazione concettuale? La percezione è prima dell’arrivo della coscienza che è la base dell’intelletto. La percezione non è questione di pratica graduale. Può avvenire soltanto da se stessa, istantaneamente; non ci sono stadi in cui viene fatto un progresso deliberato. Non c’è “nessuno” a fare alcun progresso. Forse, uno potrebbe chiedersi: non potrebbe essere il più sicuro segno di “progresso” - nel caso che uno non possa abbandonarne il concetto - la totale mancanza di preoccupazione a riguardo del “progresso” stesso ed una suprema assenza di ansietà circa la “liberazione”, una sorta di “vuoto” nel proprio essere, una sorta di lasciare andare, un abbandono non-volitivo a qualunque cosa possa accadere?
- Può l’individuo, un’entità illusoria, decidere indipendentemente, per sua scelta, che vuole essere “liberato”, che deve scegliere il metodo, cioè Bhakti o Jnana e che farà un certo sforzo in quella direzione? No, non può. Non sarebbe più saggio per lui e incidentalmente anche più pratico, accettare passivamente ciò che è come parte del totale funzionamento e guardare ciò che accade con ammirazione stupita del lavorio della Natura?
Il
riflesso dell'Assoluto ( Pura Consapevolezza - Noumeno)
Vedi
semplicemente il transitorio come transitorio, l’irreale come irreale, il falso
come falso e realizzerai la tua vera natura…
“La totale
manifestazione è Me stesso”… Quello che è cercato è il cercatore stesso…
- La Coscienza sorge nel Puro Essere, senza alcuna particolare causa o ragione, al di fuori del fatto che è nella sua natura fare così - come le onde sulla superficie del mare.
- L’“Io” può essere considerato sotto tre aspetti: 1. L’impersonale - Avyakta (immanifesto), l’Assoluto “Io”, al di là di ogni percezione sensoriale, o esperienza, e del tutto inconsapevole di se stesso. 2. Il super-personale - Vyakta (manifesto), che è il riflesso dell’Assoluto nella coscienza sotto l’aspetto dell’ “Io sono”. 3. Il personale - Vyakti, che è un costrutto dei processi fisici e vitali, il complesso dell’apparato psicosomatico attraverso cui la coscienza manifesta se stessa.
- Essenzialmente non c’è differenza tra il manifesto (Vyakta) e l’immanifesto (Avyakta), proprio come non c’è differenza, essenzialmente, tra la luce e la luce del giorno.
- La consapevolezza viene dall’Assoluto (Avyakta) e pervade il sé interiore ( Vyakta ). Il sé esteriore ( Vyakti ) è quella parte del proprio essere di cui uno non è consapevole, in quanto, sebbene uno possa essere conscio (poiché ogni essere cosciente ha coscienza), è possibile che non sia consapevole. In altre parole, il sé esteriore (Vyakti) è delineato dal corpo fisico; il sé interiore ( Vyakta) dalla coscienza ed è soltanto nella Pura Consapevolezza che il Supremo (Avyakta) può essere contattato.
- Non c ’è bisogno di nessuna specifica identificazione tra la noumenalità (Avyakta) e la fenomenalità (Vyakta) come tali. Tale necessità sorge soltanto quando c’è la manifestazione del noumeno-Assoluto in oggetti fenomenici separati, un processo di oggettivazione che necessariamente richiede il “dualismo” una dicotomia in due elementi - un soggetto (Vyakti) che percepisce e conosce ed un oggetto che è percepito e conosciuto. Il punto importante è che sia questo conoscitore-soggetto che il conosciuto-oggetto sono oggetti interdipendenti e possono esistere soltanto nella coscienza in cui avviene il processo della manifestazione, coscienza che in effetti è ciò che noi siamo!
- La consapevolezza, quando è in contatto con un oggetto, una forma fisica, diventa testimonianza. Quando allo stesso tempo c’è l’identificazione con l’oggetto, un tale stato diventa “la persona”. In Realtà c’è soltanto uno stato: quando è corrotto e macchiato dalla identificazione, può essere chiamato persona (Vyakti); quando è tinta di un senso di esistenza, la coscienza risultante diventa “il testimoniare”; quando rimane nella sua purezza originaria, immacolata, è il Supremo, l’Assoluto.
- È necessario aver chiara la differenza, per quanto concettuale possa essere, tra la consapevolezza dell’Assoluto e la coscienza in cui appare l’universo. Uno è soltanto il riflesso dell’altro. Ma il riflesso del sole nella goccia di rugiada non è il sole. In assenza di oggettivazione, come nel sonno profondo, l’universo apparente non è, ma noi siamo. È così perché ciò che siamo è ciò che è l’apparente universo e viceversa - duali nella presenza, non duali nell’assenza; separati in modo inconciliabile nel concetto, inviolabilmente uniti quando non concepiti.
- Uno non può pensare alla coscienza come separata dalla consapevolezza; non ci può essere un riflesso del sole senza il sole. Ma ci può essere la consapevolezza senza coscienza. La consapevolezza rimpiazza la coscienza. L’ “Io sono”, che è un pensiero nella coscienza, cessa. Nella Consapevolezza non c’è pensiero. La Consapevolezza è la sorgente della coscienza.
- Il "fenomeno" non può essere fenomeno senza il "noumeno". Il limite della possibile concettualizzazione - l'astrazione della mente - è il noumeno, l'infinità dello sconosciuto. Il noumeno, il solo soggetto, si oggettiva e percepisce l'universo manifestandosi fenomenicamente all'interno di se stesso, ma apparentemente all'esterno al fine di essere un oggetto percepibile. Affinché il noumeno si manifesti oggettivamente come l'universo fenomenico, entra in azione il concetto dello spazio-tempo; perché gli oggetti, al fine di essere conoscibili, devono essere estesi nello spazio ottenendo volume e devono allungarsi nella durata o nel tempo, perché altrimenti non potrebbero essere percepiti.
- L'essere senziente è soltanto una piccolissima parte all'interno del processo dell'apparente rispecchiarsi del noumeno nell'universo fenomenico. È soltanto un oggetto nella totale oggettivazione e come tale, "noi" non possiamo avere una natura nostra propria. E tuttavia - questo è importante - i fenomeni non sono qualcosa creato separatamente e nemmeno proiettato, ma sono in effetti il noumeno concettualizzato od oggettivato. In altre parole, la differenza è puramente nozionale. Senza la nozione, essi sono inseparabili e non c'è reale dualità tra noumeno e fenomeno.
- Questa identità, questa inseparabilità è la chiave della comprensione, o piuttosto della percezione, della nostra vera natura, perché se questa unità basilare tra il noumeno ed il fenomeno viene persa di vista, rimaniamo impantanati nella palude dell'oggettivazione e dei concetti.
- Una volta che si è compreso che il noumeno è tutto ciò che siamo, e che i fenomeni sono ciò che appariamo essere come oggetti separati, verrà anche compreso che nessuna entità può essere coinvolta in ciò che siamo e perciò il concetto di un'entità che ha bisogno della "liberazione" sarà visto come un'assurdità; e la "liberazione", se ci deve essere, sarà vista come la liberazione dal concetto stesso della schiavitù e della liberazione. Quando penso a ciò che ero prima di "nascere", so che questo concetto "io sono" non era là. In assenza della coscienza non c'è concettualizzazione e qualunque vedere abbia luogo non è ciò che un'entità vede come soggetto-oggetto, ma viene visto dall'interno, dalla sorgente di tutto il vedere. Ed allora, attraverso questo "risveglio", realizzo che la totalità dell'Assoluto che tutto abbraccia, non può avere nemmeno un tocco dell'imperfezione relativa. Così, relativamente parlando, devo vivere la durata designata della vita sino alla sua fine, dove questa "conoscenza" relativa si fonde nello stato di non-conoscere dell'Assoluto. Allora questa condizione temporanea del "io-conosco" e del "io-conosco-che-io-conosco" si fonde in quell'eterno stato di "io-non-conosco" e del "io-non-conosco-che-non-conosco".
- Il noumeno - ciò che è - può soltanto essere, e può essere soltanto ora. In assenza dello spazio-tempo concettuale non ci può essere assolutamente “dove” o “quando” per nessuna “cosa”.
- Lo stato originale – il Parabrahman - è incondizionato, senza attributi, senza forma, senza identità. In effetti, quello stato non è null’altro che pienezza (non vacuità), cosicché è impossibile dargli un nome adeguato. In quello stato originale, precedente qualunque concetto, la coscienza - il pensiero “io sono” - spontaneamente vibra nell’esistenza. Come? Perché? Per nessuna ragione apparente, come una gentile onda su un’estensione d’acqua! Il pensiero “io sono” è il seme del suono Om, il suono primordiale o Nada all’inizio della creazione. Consiste di tre suoni: a, u e m. Questi tre suoni rappresentano i tre attributi Sattva, Rajas, Tamas, che hanno prodotto i tre stati di veglia, sogno e sonno profondo (chiamati anche coscienza o armonia, attività e riposo). È nella coscienza che il mondo emerge. Invero, il primo pensiero “io sono” ha creato il senso di dualità nello stato originale di unicità. Nessuna creazione può avvenire senza la dualità del principio genitore - maschio e femmina, Purusha e Prakriti. La creazione dei mondo come apparizione nella coscienza, ha un decuplo aspetto - Purusha e Prakriti o principio della dualità; il materiale fisico e chimico, l’essenza dei cinque elementi (etere, aria, fuoco, acqua e terra) sotto mutua frizione; e i tre attributi di Sattva, Rajas e Tamas. Un individuo può pensare di essere lui ad agire, ma è in verità l’essenza dei cinque elementi, il Prana, la forza vitale, che agisce attraverso la particolare combinazione dei tre attributi in una particolare forma fisica. Quando la creazione del mondo è vista da questa prospettiva, è facile comprendere il motivo per cui i pensieri e le azioni di un individuo (che in effetti non è null’altro che un apparato psicosomatico) differiscono così tanto in qualità e grado da quelli dei milioni di altri.
- Non dimenticare l’essenziale unità tra l‘Assoluto e il relativo, tra il non manifesto ed il manifesto. La manifestazione viene in esistenza soltanto con il concetto basilare, “io sono”. Il substrato è il noumeno, che è totale potenzialità. Con il sorgere dell’“io sono”, esso si specchia nell’universo fenomenico che solo in apparenza sembra essere esterno al noumeno. Al fine di vedersi, il noumeno si oggettiva nel fenomeno e affinché avvenga questa oggettivazione, lo Spazio ed il tempo sono i concetti necessari (in cui il fenomeno si estende nel volume e nella durata). Il fenomeno, perciò, non è qualcosa di differente dal noumeno, ma è il noumeno stesso oggettivato. Una volta che sorge il concetto “io sono”, l’unità fondamentale viene separata, come nozione, in soggetto ed oggetto nella dualità.
- La manifestazione e la non manifestazione sembrano due “cose” diverse, ma non lo sono. Esse sono essenzialmente lo stesso stato, come onde su una distesa d’acqua. Quando questa è colorata da un senso di esistenza, è la coscienza in cui la manifestazione appare con le sue limitazioni; quando è incolore e senza limiti, è l’Assoluto. inconsapevole della sua consapevolezza. I fenomeni sono soltanto lo specchiarsi del noumeno; non sono differenti.
- Ognuno di noi, come fenomeno, è semplicemente un’apparizione nella coscienza di coloro che ci percepiscono e perciò ciò che sembriamo è un fenomeno temporale, finito e percepibile dai sensi; laddove ciò che siamo, ciò che siamo sempre stati e ciò che saremo sempre, senza nome né forma, è il noumeno, l’essere al di là del tempo, al di là dello spazio, impercettibile.
- Se dovessi chiederti di dirmi qualcosa circa il tuo stato. prima che tu venissi concepito nel grembo di tua madre, la tua risposta dovrà necessariamente essere: “Non lo so”. Questo “Io" che non conosce quello stato (in effetti, l’“Io” che non conosceva nulla sino a che non apparve la coscienza), è ciò che realmente siamo - l’Assoluto, il noumeno, il senza tempo, il senza spazio, l’essere impercepibile; laddove relativamente, fenomenicamente, finiti, vincolati dal tempo, percepibili dai sensi, è ciò che sembriamo come oggetti separati. Lo stato della non-manifestazione, il noumeno, è quello nel quale noi (strettamente la parola dovrebbe essere non “noi” ma “io”) non conosciamo nemmeno la nostra esistenza. Quando diventiamo consci della nostra esistenza, lo stato di unicità non prevale più perché la dualità è l’essenza stessa della coscienza. La manifestazione di quello-che-noi-siamo come fenomeno, mette in atto un processo di oggettivazione che è necessariamente basato su una divisione in un soggetto che percepisce o conosce ed un oggetto che è percepito o conosciuto.
- Ricordate sempre, la perfetta identità di questo-che-io-sono e di quello-che-io-appaio-essere. Non dimenticate mai, nemmeno per un momento, che la non-manifestazione e la manifestazione, il noumeno ed il fenomeno, l’Assoluto ed il Relativo, non sono diversi. La manifestazione non è una creazione del non-manifesto, ma meramente il suo specchiarsi, o una sua espressione. In altre parole, non c’è dualità innata tra il soggetto e l’oggetto; in effetti, nessun oggetto potrebbe esistere nemmeno per un momento separato dal suo soggetto e viceversa. Questo-che-io-sono (noumeno) ovviamente trascende quello-che-io-appaio-essere (fenomeno), ma è anche immanente in esso. C’è una inseparabile identità tra il noumeno ed il suo fenomeno. Che cosa accade nella manifestazione? Noumenalmente, io sono (sebbene non consapevole di ciò), e nemmeno per un momento io cesso di essere questo-che-io-sono. Laddove fenomenicamente, io né sono né non sono, perché tutti gli oggetti sono semplicemente apparizioni nella coscienza, immagini in uno specchio.
- La manifestazione relativa - il mondo - non è “illusoria" poiché è l’espressione dell’Assoluto Immanifesto, che vi è immanente; ciò che è in effetti illusoria è la vostra fraintesa identità con un particolare fenomeno. L’ombra non può esistere senza la sostanza, ma l’ombra non è la sostanza.
- Ciò che siamo è il noumeno, l’essere senza tempo, senza spazio, impercettibile, e non ciò che sembriamo essere come esseri separati vincolati nel tempo, finiti e percepibili con i sensi. La “schiavitù” sorge perché dimentichiamo il nostro essere reale, il noumeno, e ci identifichiamo con il fenomeno - il corpo - che non è null’altro che un apparato psicosomatico.
- Nel nostro primitivo stato originale siamo puro essere-consapevolezza-beatitudine. Quando veniamo in contatto con la coscienza, siamo soltanto la testimonianza (totalmente separati) dei vari movimenti nella coscienza.
- In ogni individuo l’Assoluto si riflette come consapevolezza e così la pura Consapevolezza diventa consapevolezza di sé, o coscienza. L’universo oggettivo è in continuo fluire, proiettando e dissolvendo innumerevoli forme. Ogni qual volta una forma viene creata ed infusa di vita (Prana), la coscienza (Chetana) appare, simultaneamente e automaticamente, come riflesso della Consapevolezza Assoluta nella materia. Si deve chiaramente comprendere che la coscienza è un riflesso dell’Assoluto sulla superficie della materia e ciò provoca un senso di dualità. Differente da essa, la pura Consapevolezza, lo stato assoluto è senza inizio e senza fine, senza la necessità di alcun sostegno al di fuori di se stessa. La Consapevolezza diventa coscienza soltanto quando ha un oggetto su cui riflettersi. Tra la pura Consapevolezza e la consapevolezza riflessa come coscienza, c’è una frattura che la mente non può attraversare. Il riflesso del sole in una goccia di rugiada non è il sole! La coscienza manifesta è vincolata nel tempo, in quanto scompare non appena la struttura fisica in cui abita giunge a termine.
- Se l’universo manifesto è soltanto un’apparizione (in assenza della coscienza l’universo non può esistere da se stesso) allora l’universo manifesto è il riflesso di qualcosa che è presente in se stesso e per se stesso. I fenomeni allora sono l’aspetto oggettivo del noumeno, la potenzialità totale, la totalità del conosciuto nell’infinità dello sconosciuto. La coscienza non può essere usata per trascendere la coscienza, perciò il noumeno rappresenta il parametro esterno di cognizione. L'intero funzionamento non è altro che noi. Ciò che siamo è il totale, santo, noumenico Assoluto, percepibile al livello dei sensi, percepito e conosciuto, soltanto nella dualità relativa come fenomeno manifesto. “Noi” siamo fenomenicamente trascendenza come “io” e, noumenicamente, immanenza in relazione a come vediamo noi stessi. Non c’è null’altro che “io”, non c’è “me”, non c’è “altro".
- Questa comprensione non è questione di tempo (in effetti è precedente al concetto di tempo) e quando avviene, avviene improvvisamente, come un lampo di comprensione al di là del tempo. In effetti significa l’improvvisa cessazione del processo di durata, una frazione di secondo in cui il funzionamento del processo-tempo stesso viene sospeso - mentre avviene l’integrazione con ciò che è precedente alla relatività - e l’assoluta comprensione irrompe. Una volta che questo seme di comprensione ha messo radici, il processo del riscatto relativo all’immaginaria schiavitù può prendere avvio, ma la comprensione stessa è sempre istantanea.
- Voi siete coscienza soltanto nella manifestazione, ma in verità voi siete quello che è prima della coscienza stessa, cioè, voi siete la Pura Consapevolezza. Non è abbastanza semplice da comprendere che un semplice oggetto, un’apparizione - quello che un corpo fisico è - non possa eseguire alcuna azione di nessun tipo, come entità indipendente? È soltanto quando la Coscienza Impersonale, nel suo totale funzionamento, si manifesta oggettivandosi e diventando identificata con ciascun oggetto che sorge il concetto dell’ “io” personale. Ciò che noi siamo Assolutamente (puro essere senza tempo, al di là dello spazio, incondizionato, totalmente privo di attributi e identità) non può conoscere ciò che è il piacere o il dolore perché ciò che siamo non ha nulla di oggettivo in sé e soltanto un oggetto può soffrire o avere qualche sorta di esperienza. Ciò che appariamo essere come oggetti separati sono fenomeni manifesti, limitati nel tempo, finiti e percepibili attraverso i sensi. Possiamo soffrire soltanto attraverso la nostra identità fraintesa con gli oggetti separati!
- Questa totalità del conosciuto alla fine si fonde nell’infinita potenzialità, la Realtà, che è al di là del tempo e dello spazio (Paramakash). In questa concettuale manifestazione, innumerevoli forme vengono create e distrutte, mentre l’Assoluto è immanente in tutte le forme fenomeniche. Da dove vengono le figure individuali come individui? Da nessuna parte. E tuttavia da ogni dove, poiché noi siamo la manifestazione. Siamo il funzionamento. Siamo la vita che viene vissuta. Siamo il vivere del sogno. Ma non come individui. La percezione di questa verità demolisce il cercatore individuale; il cercatore diventa il cercato ed il cercato è la percezione.
- Non ignorare lo scopo essenziale di tutto il Paramartha, cioè, la comprensione ultima, al fine di conoscere la nostra Svarupa, la nostra vera identità. Che cos’è la nostra vera identità? Immanifesta, nel silenzio, la nostra identità è l’Unità Assoluta, la Pura Consapevolezza non consapevole di se stessa; manifesta, funzionante nella dualità, la nostra identità è la coscienza che cerca se stessa come l’“altro” perché “non può tollerare la sua stessa presenza”. In altri termini, sul nostro stato originale del senza tempo, dell’immutabile, dell’Assoluto, il corpo con coscienza è apparso come una malattia temporanea, senza causa né ragione, come parte dei totale “funzionamento” della Coscienza Impersonale e del suo ruolo come Prajna. Ogni forma fenomenica dura per il tempo designato ed alla fine del suo ciclo vitale scompare, così spontaneamente come è comparsa, e la coscienza, sollevata della sua limitazione fisica, non più conscia di se stessa, si fonde nella Consapevolezza: uno non è nato, né muore. La coscienza, al fine di manifestarsi, ha bisogno delle forme fisiche per il suo funzionamento e crea costantemente nuove forme e distrugge quelle vecchie.
- La coscienza è sia il funzionamento che la percezione del funzionamento e noi (non gli individui ma l’eterno “Io”) siamo quel percepire. La coscienza nell’azione non può essere differente dalla Coscienza a riposo, la Consapevolezza Assoluta che è la totalità di tutto il potenziale. In altre parole, la Coscienza-manifestazione è l’aspetto oggettivo della Consapevolezza soggettiva. Se la coscienza è vincolata nel tempo e non è eterna, nessuna conoscenza acquisita attraverso il mezzo di essa può essere la verità e perciò, in definitiva, deve essere rigettata o, come ho detto, essere offerta a Brahman (Assoluto) come un’oblazione - essendo Brahman coscienza, essere, condizione di Io sono, o Ishwara, o Dio, o qualunque nome vogliate dargli. In altre parole, gli opposti in relazione tra loro, sia la conoscenza che l’ignoranza, sono nell’area del conosciuto e perciò non sono la verità e la verità si trova soltanto nello sconosciuto. Una volta che questo è chiaramente compreso, non rimane più nulla da fare. In effetti non c’è realmente un’ “entità” a fare qualcosa.
- La coscienza manifesta è la sua sola connessione con l’Assoluto. Non ci può essere nulla di oggettivo riguardo l’Assoluto, che è essenzialmente pura soggettività. Il mezzo per sperimentare ogni esperienza è la coscienza interiore. La consapevolezza è dell’Assoluto e perciò al di là dei tre Guna (differenziazioni fenomeniche).
Ricapitolando…
“Io,
immanifesto, sono la totale potenzialità, l’assoluta assenza del conosciuto e
del conoscibile, l’assoluta presenza dello sconosciuto e dell’inconoscibile.
Io, manifesto, sono la totalità di tutti i fenomeni, la totalità del conosciuto
nella inconcepibilità dell’immanifesto sconosciuto. Ci posso essere soltanto Io
- l’eterno Io - totalmente incondizionato, senza il minimo attributo, pura
soggettività. Il mero pensiero di "me” è immediata e spontanea (ma
illusoria) schiavitù: che il me scompaia ed immediatamente e spontaneamente, tu
sei Io”.
Sono sempre
presente perché sono sempre assente; e sono presente soltanto quando sono
assente. Per chiarire questo aggiungo che sono sempre presente assolutamente,
ma, relativamente, la mia presenza apparente è la mia apparente assenza come
Io;
Io, che non
sono nulla, sono ogni cosa che non sono, ma l’universo apparente è il mio sé;
Dopo che
tutti i “tu” ed i “me” si sono negati tra loro, io rimarrò come “io”;
Come potreste
amarmi? Voi siete ciò che io sono; come potrei odiarvi? lo sono ciò che voi
siete;
Non essendo
mai nato, come potrei morire? Non essendo mai stato vincolato, dov’è per me il
bisogno di cercare la liberazione?
Come può il
relativo giudicare l’Assoluto? L’Assoluto è invero il relativo quando il
relativo non è più relativo, quando il relativo abbandona tutto ciò che lo
rende relativo. In assenza della forma fisica, la coscienza non è conscia di
se stessa;
Che cosa
eravate prima di nascere?
Le preferenze
o le differenze sono tutte guazzabugli concettuali. Esse possono apparire
soltanto relativamente. Assolutamente, non ci può essere apparizione, e,
perciò, nessuna preferenza o differenza;
Raccogliete
tutta la conoscenza che volete - sia mondana che non mondana - e poi offritela
come sacrificio all’Assoluto, e così sia.
- - - -
- Se il noumeno desidera guardare se stesso (naturalmente ora stiamo concettualizzando), non può farlo senza oggettivarsi come fenomeno.
- Al fine di vedersi, il noumeno si oggettiva nel fenomeno e, affinché avvenga questa oggettivazione, lo spazio ed il tempo sono i concetti necessari (in cui il fenomeno si estende nel volume e nella durata).
- Il noumeno, essendo pura soggettività, non può vedersi come noumeno. La manifestazione fenomenica, perciò, non è qualcosa di esterno, “proiettato” dal noumeno, ma è una oggettivazione, come manifestazione, su e all’interno di se stesso.
- Il substrato è dunque il noumeno, che è totale potenzialità. Con il sorgere della Coscienza, dell’“io sono”, esso si specchia nell’universo fenomenico che solo in apparenza sembra essere esterno al noumeno.
- Perché sorge la coscienza? Per nessuna ragione apparente, al di fuori del fatto che è nella sua natura, come l’onda su di un’espansione d’acqua. Dalla “causa senza causa” sorge il pensiero o il concetto io sono, la Coscienza Impersonale su cui il mondo appare come un sogno-vivente.
- Nello stato originale prevale io sono, senza alcuna conoscenza o condizionamento, attributi, forma o identità.
- Il noumeno - pura soggettività - deve rimanere sempre il solo soggetto. Perciò, il presunto conoscitore ed il presunto conosciuto sono entrambi oggetti nella coscienza.
- L’esistenza manifesta è fenomenica, per cui il fenomeno, essendo apparenza conoscibile a livello sensoriale e vincolata nel tempo, è una visione, un sogno, un’allucinazione e perciò non vero. L’esistenza immanifesta è l’Assoluto, atemporale, al di là dello spazio, non consapevole di esistere, non conoscibile a livello sensoriale, eterna, perciò vera. Chi lo dice? La coscienza naturalmente, cercando di conoscere se stessa e non riuscendoci perché il conoscere (non c’è conoscitore come tale) non può conoscere ciò che esso stesso sta conoscendo: un occhio non può vedere se stesso sebbene veda ogni altra cosa. Il cercatore è il cercato: questa è la fondamentale, importante verità.
- Il fenomeno, perciò, non è qualcosa di differente dal noumeno, ma è il noumeno stesso oggettivato. Una volta che sorge il concetto “io sono”, l’unità fondamentale viene separata, come nozione, in soggetto ed oggetto nella dualità.
- “Consapevolezza” è il nome dato a quello stato di assoluta perfezione, quando la coscienza è in totale riposo e non è consapevole della sua stessa esistenza. La coscienza diventa conscia di se stessa soltanto quando comincia a vibrare e sorge il pensiero, io sono.
- Quando, sul noumeno, la coscienza vibra e sorge il senso di presenza - Io sono - si origina simultaneamente il senso della dualità, il conoscitore ed il conosciuto, lo sperimentatore e la cosa sperimentata. Ma la dualità è soltanto apparente e non reale, perché l’essenziale unicità non può essere dicotomizzata. I due aspetti - la Coscienza a riposo (noumenalità) e la coscienza in azione (fenomenalità) - non si separano né si uniscono tra loro, perché l’aspetto duale sorge soltanto come concetto. Shiva (noumeno) esiste nel vibrare della Coscienza, perché tale attività non ha altra sorgente al di fuori di Shiva; e l’attività stessa - la manifestazione ed il funzionamento (Shakti) - avviene su e all’interno di Shiva (noumeno). La dualità è semplicemente un’illusione, un concetto che non influenza e non può influenzare l’unicità dell’Assoluto. Non dimentichiamo che la creazione concettuale dell’universo è soltanto “il figlio di una donna sterile”! L’apparizione e la scomparsa dell’apparente dualità, sono entrambi un’illusione che continua costantemente di momento in momento, senza alcun intervallo. L’identità essenziale è innata.
- Il noumeno ed il fenomeno (o qualunque altra parola che denoti le condizioni relative) sono semplicemente nomi che devono essere usati per la comunicazione allo stato dualistico, dopo che è avvenuta la manifestazione. Esse sono semplicemente due parole, usate per descrivere i due stati concepiti nel concetto, ma non possono disturbare l’unicità basilare che rimane totalmente non toccata. Le onde possono sorgere e calare, ma l’espansione dell’acqua, in quanto tale, rimane intatta
- L’Assoluto immanifesto si esprime nella manifestazione: la manifestazione avviene attraverso milioni di forme. Milioni di queste forme vengono create costantemente e costantemente distrutte nel processo della manifestazione;
- L’Assoluto, il noumeno, è l’aspetto immanifesto; ed il fenomeno, l’aspetto manifesto di ciò che siamo. Essi non sono differenti . Un paragone crudo sarebbe la sostanza e la sua ombra, laddove il manifesto sarebbe l’ombra dell’immanifesto informale. Il noumeno Assoluto è atemporale, al di là dello spazio, non percepibile dai sensi; i fenomeni sono vincolati dal tempo, con una forma limitata e percepibile ai sensi. Il noumeno è ciò che siamo; i fenomeni sono ciò che appariamo essere come oggetti separati nella coscienza.
- La coscienza, al fine di manifestarsi, ha bisogno di una forma, un corpo fisico con cui essa si identifica e così inizia il concetto della “schiavitù”, con una oggettivazione immaginaria di “io”. Ogni qual volta uno pensa ed agisce dai punto di vista di questa auto-identificazione, si può dire di lui che abbia commesso il “peccato originale” del volgere la pura soggettività (il potenziale senza limiti), in un oggetto, una realtà limitata.
- La coscienza funziona attraverso ciascuna forma e la condotta e l’opera di ciascuna forma è generalmente, secondo la basilare natura della categoria a cui essa appartiene (che sia una pianta, un insetto, un leone o un uomo) e particolarmente, secondo la natura della particolare combinazione degli elementi base in ciascuna forma.
- Non ci sono due esseri umani simili (le impronte lo dimostrano) perché le permutazioni e le combinazioni di milioni di ombre degli otto aspetti (i cinque elementi base ed i tre Guna) sfociano in bilioni e trilioni di forme, non essendoci due forme esattamente uguali.
- Ciò che siamo Assolutamente, noumenalmente, è unicità-assoluto-soggettività senza il minimo tocco di oggettività. Il solo modo in cui quello-che-siamo può manifestarsi è attraverso un processo di dualità, l’inizio del quale è il vibrare della coscienza, il senso di “Io sono”. Questo processo di manifestazione-oggettivazione, che fino a questo momento era totalmente assente, comporta una dicotomia in un soggetto che percepisce ed un oggetto che viene percepito; conoscitore e conosciuto.
- Ogni cosa immaginabile, ogni sorta di fenomeno che i nostri sensi percepiscono e la nostra mente interpreta, è un’apparizione nella nostra coscienza. Ognuno di noi esiste soltanto come oggetto, un’apparizione nella coscienza di qualcun’altro. Il conoscitore ed il conosciuto sono entrambi oggetti nella coscienza, ma (e questo è il punto importante riguardo la pseudo-entità) quello che conosce l’oggetto presume di essere il soggetto della cognizione di altri oggetti, in un mondo esterno a se stesso, e questo soggetto conoscitore considera la sua pseudo-soggettività un’entità indipendente, autonoma - un “sé” con il potere di azione volitiva! Il risultato della identificazione con l’elemento conoscitore, nel processo della manifestazione, è il concetto della pseudo-personalità con scelta di azione individuale. E questa è la base della “schiavitù” illusoria.
- Oltre a questa dicotomia soggetto ed oggetto, il processo della manifestazione fenomenica dipende dal concetto basilare di spazio e tempo. In assenza del concetto di “spazio”, nessun oggetto potrebbe diventare apparente in modo tridimensionale; similmente, in assenza del concetto parallelo di “tempo”, l’oggetto tridimensionale non potrebbe essere percepito - né alcun movimento misurato - senza la durata necessaria a rendere l’oggetto percepibile. Il processo della manifestazione fenomenica, perciò, avviene nello spazio-tempo concettuale in cui gli oggetti diventano apparizioni nella coscienza, percepiti e conosciuti dalla coscienza, attraverso un processo di concettualizzazione, la cui base è una divisione tra pseudo-soggetto che percepisce e oggetto percepito.
- Nessun oggetto ha una propria esistenza indipendente e perciò, un oggetto non può risvegliarsi dal sogno-vivente; tuttavia - e questo è lo scherzo - il fantasma individuale (un oggetto) cerca qualche altro oggetto, come l’“Assoluto” o “Realtà”, comunque lo si voglia chiamare.
- Una chiara percezione di questo processo della manifestazione comporta la comprensione:
-
che in realtà non
c’è questione di alcuna identificazione con nessuna forma individuale perché la
base stessa di questo spettacolo-manifestazione è durata (di ciascuna forma) e
la durata è un concetto del tempo;
-
che la nostra
vera natura è la testimonianza di questo spettacolo. Va da sé che la
testimonianza può avvenire soltanto sino a che lo spettacolo continua e lo
spettacolo può continuare soltanto sino a che c’è coscienza. A comprendere
tutto questo c’è la coscienza, che cerca la sua sorgente e non la trova perché il
cercatore è il cercato.
-
Fenomenicamente,
“me” (e “tu” e “egli”) è soltanto un’apparizione nella coscienza: come può
un’apparizione essere in schiavitù? Noumenalmente, come posso Io - pura
soggettività - necessitare di
liberazione? La liberazione consiste soltanto nell’essere liberi dall’idea
che ci sia “qualcuno” che ha bisogno della liberazione.
- Quando la coscienza, che nel riposo è impersonale, si manifesta oggettivandosi come fenomeno, essa si identifica con ogni oggetto senziente e così sorge il concetto di un “io” individuale separabile e personale, che tratta tutti gli altri fenomeni come suoi oggetti. Ciascun essere senziente diventa il soggetto nei confronti di tutti gli altri oggetti senzienti, sebbene, in realtà, siano tutti oggetti che appaiono nella coscienza. La coscienza è il “colpevole” che ha portato all’uomo l’illusoria schiavitù ed è soltanto la coscienza che può portarlo a conseguire l’illusoria liberazione. La coscienza è Maya, ed è anche coscienza Ishwara, che agisce come il Sadguru e, se doverosamente propiziato, dischiude il segreto dell’universo e fornisce l’illusoria liberazione in questa commedia del sogno-vivente, in cui la coscienza è il solo attore che interpreta tutti i molteplici ruoli. Questa stessa coscienza fornirà l’illusoria liberazione per l’illusoria schiavitù dell’illusorio individuo, rivelando la sua vera natura, che non è null’altro che il cercatore stesso. Il percepire questa verità è la finale e sola liberazione e il bello di tutto ciò è che persino la “liberazione” è un concetto! Se questo è chiaro, uno deve ritornare indietro per scoprire ciò che era originalmente (e che è sempre stato) prima che sorgesse la coscienza. A questo stadio giunge il “risveglio” in cui scopre che non è né il corpo, né la coscienza, ma lo stato senza nome della totale potenzialità, precedente l’arrivo della coscienza (nella coscienza, quello stato, qualunque nome abbia, può essere soltanto un concetto).
- Soltanto questa realizzazione può condurre ad una perfetta accettazione equanime di qualunque evento possa accadere sino a che la durata della vita termina e, mentre la vita viene così vissuta, ci sarà ovviamente un preciso senso di una unità che tutto abbraccia, perché gli “altri” sarebbero percepiti non come oggetti di un pseudo-soggetto, ma come gli aspetti manifesti della stessa soggettività noumenica che uno è.
- L’identificazione dell’unicità (o il soggetto) che siamo, con la separazione nella dualità (o l’oggetto) che appariamo essere, costituisce la “schiavitù” e la disidentificazione (da questa identificazione) costituisce la “liberazione”. Ma sia la “schiavitù” che la “liberazione” sono illusorie, perché non c’è un’entità che sia in schiavitù e che voglia la liberazione; l’entità è soltanto un concetto che sorge dalla identificazione della coscienza con un oggetto apparente, che è semplicemente un’apparizione nella coscienza!
- Che cosa deve fare l’individuo? La sola cosa che uno può fare è di tenere sempre a mente il fatto che un’entità indipendente non può esistere e che l’intera manifestazione è il funzionamento della coscienza, nella quale ognuno di noi ha il suo ruolo da recitare e alla fine deve accettare qualunque cosa avvenga all’interno di quel totale funzionamento con stupita ammirazione. Poi, la sola cosa che rimane è di non ‘praticare” con sforzo deliberato, ma semplicemente lasciare che la nostra vera comprensione impregni profondamente il nostro vero essere, passivamente e pazientemente, cosicché tutte le illusioni e le ostruzioni gradualmente cadano da sole.
- in realtà non importa ciò che facciamo, non ci può essere nessuna entità ad esercitare nessuna volizione efficace ed effettiva - né il fare né il non fare - che ciò che consideriamo il risultato della nostra scelta è soltanto l’inevitabile. Quando ciò corrisponde con quello che consideriamo accettabile per noi al dato momento, ci inorgogliamo della nostra “azione volitiva” e la consideriamo un raggiungimento personale e quando non lo è, diventa una questione d’ira, infelicità e frustrazione per noi. Accettare la paternità dell’azione sulla base della volizione di qualcosa che è parte del totale funzionamento della coscienza, è la catena che vincola l’individuo fenomenico nell’apparente “schiavitù” - apparente perché non c’è entità da vincolare - e la realizzazione della assurdità stessa del pseudo-soggetto che cerca di agire indipendentemente dal funzionamento Prajnico (Prajna = pura consapevolezza) è il “risveglio”. In altri termini, il vivere sarebbe vivere libero, dove né il fare positivo, né il non fare negativo di una pseudo-entità prevarrebbe, poiché, in assenza di qualunque intenzione, non c’è volizione. Senza intenzioni concettuali, tutte le azioni sarebbero spontanee; l’attore che recita il suo ruolo in questa commedia della vita o il vivere il proprio sogno-vivente prendendo la vita come viene. Una volta che c’è la percezione di ciò-che-è, tutta la vita diventa ciò che è sempre stata: Lila, un “gioco”.
- Una volta che realizzi che non c’è nulla in questo mondo che puoi o che hai bisogno di chiamare tuo, lo guardi dall’esterno come si guarda una recita sul palcoscenico o un dramma sullo schermo, ammirandolo e gioendone, forse soffrendone, ma, nel profondo, del tutto non toccato.
- Come si fa a sapere se si sta facendo un “progresso” spirituale? Può forse essere che il più sicuro segno di “progresso” sia una mancanza di preoccupazione circa il progresso ed un’assenza di ansietà circa la liberazione, nella scia della chiara percezione intuitiva? Una istantanea percezione del totale “funzionamento” di Nisarga (natura) in cui non c’è posto per un’entità autonoma.
- L’essere umano individuale considera la coscienza (nota l’assenza della “C” maiuscola) come parte dell’equipaggiamento che ha all’interno dei corpo, sin da quando è nato ma è invece la sua stessa esistenza che dipende da questa coscienza all’interno del corpo. Se egli fosse nato senza questa coscienza, “egli” sarebbe stato gettato fuori e distrutto come un rifiuto. Perciò, comprendi che questa coscienza è la sola “sorgente” che può aiutarti a comprendere la tua vera natura;
- L’essere umano individuale non è un individuo che possieda la coscienza, ma è la Coscienza (nota la “C” maiuscola) - l’aspetto manifesto oggettivo dell’immanifesto Assoluto - in cui appare l’intero universo, inclusi i milioni di esseri umani. Perciò, egli è soltanto una minuscola parte della manifestazione totale, essendo l’intero spettacolo soltanto un’illusione.
- Se questa posizione viene realmente capita, verrà anche percepito che sino a che esiste il corpo, l’apparato psicosomatico in cui avviene la manifestazione, noi non siamo il corpo perituro ma la coscienza animante che dà capacità senziente all’apparato fisico. Una volta, comunque, che il corpo “muore” e la coscienza manifesta lo lascia e si fonde con la coscienza immanifesta, noi siamo la Coscienza a riposo, la Consapevolezza Assoluta.
Epilogo
- Che cosa dire di me? Non c’è mai stato un “me”, non ci può mai essere un “me”. “Io” sono sempre stato presente, assolutamente. In effetti, la mia relativa assenza sarà la mia assoluta presenza. Il momento della “morte" sarà il momento dell’estasi più alta, l’ultima percezione sensoriale dell’apparato psicosomatico.
- Sono consapevole della mia vera identità come atemporalità, infinità, soggettività; perciò non soffro e non posso soffrire. Sono consapevole che è la coscienza che soffre apparentemente un’esperienza attraverso l’apparato sensoriale. Tu, d’altra parte, credi di essere l’apparato sensoriale ed è questa tua erronea identità la causa della tua sofferenza e della tua schiavitù.
- Sino a che c’è la coscienza funzionante, che tiene in moto l’apparato sensoriale, ci sarà anche il vivere, lo sperimentare, il soffrire, positivo o negativo. Ma tu, come “io”, sei soltanto il testimoniare tutto ciò. Ogni funzionamento è l’espressione oggettiva di ciò che io sono soggettivamente ed ogni essere senziente può affermare questo: ciò che sono non può soffrire nessuna esperienza, in quanto un’esperienza può essere sofferta soltanto da un “tu” o un “me” oggettivo.
- Noumenalmente, io non posso avere né presenza, né assenza poiché entrambi sono concetti. Il senso di presenza è il concetto che volge l’unicità dell’Assoluto nella dualità del relativo. Immanifesto, io sono il potenziale che nella manifestazione diventa l’effettivo.
- “Ho dato nascita a me stesso e sono uscito dal mio stesso grembo; tutti i miei desideri hanno trovato fine e la mia meta è raggiunta... Tutte le cose si sono fuse e sono scomparse nell’unicità... Non vedo nulla e tuttavia vedo ogni cosa. L’io e il mio sono stati rimossi da me. Parlo senza parlare. Mangio senza mangiare... Non ho bisogno di nascere, né di morire. Io sono come sono. Non c’è né nome né forma per me e sono al di là sia dell’azione che della non-azione... Adorare Te diventa una cosa impossibile poiché Tu sei identico a tutti i mezzi di adorazione. Se voglio cantare una canzone (delle Tue lodi), Tu sei la canzone. Se suono i cimbali, Tu sei i cimbali.”
- Tutto ciò che sono, tutto ciò che sono sempre stato e sempre sarò, è ciò che ero prima di “nascere”. Non essendo un corpo, come avrei mai potuto nascere? Essendo la Consapevolezza stessa, come avrei potuto essere consapevole della consapevolezza? Non sono nulla e non conosco “altro” di cui essere consapevole. Come noumeno, io non sono consapevole della consapevolezza. Come fenomeno, sto “funzionando”, un aspetto del mio potenziale come noumeno funziona ad un livello impersonale, spontaneamente, non volontariamente. Io sono perciò, il vedere, l’udire, il percepire, il conoscere, il fare, di tutto ciò che viene visto, udito, percepito, conosciuto e fatto; “io” che percepisce l’oggettivazione di questo qui ed ora.
- Noumenalmente (assolutamente) inconoscibile, fenomenicamente (relativamente) io divento un oggetto di conoscenza. Il noumeno-io è ciò che rimane dopo che tutti fenomeni vengono totalmente negati. lo sono questa-qui-e-ora totale assenza fenomenica. Come posso allora io, noumeno, essere conosciuto, sperimentato, percepito? Quando mi manifesto è come “capacità senziente”, per mezzo dell’estensione concettuale nello spazio, misurato nella durata (tempo). Qualunque esperienza può essere sperimentata soltanto nella dualità, come soggetto-oggetto, discriminando e giudicando attraverso controparti relazionate come la gioia ed il dolore. Quando la mente è totalmente silente, vuota, quando lo spazio-tempo concettualizzante è in sospensione, allora tutto quello che voi siete io sono - unicità, integrità, santità, umiltà, amore. È così semplice, ma mi chiedo quanti percepiscano ciò che sto dicendo. Smettete di concettualizzare e “voi” siete “io”, niente sé separato e nient'altro!
- lo sono la coscienza in cui appare il mondo. Ogni cosa e qualunque cosa costituisce il mondo manifesto non può perciò essere null’altro che ciò che io sono, assolutamente. Come potrei non essere ogni cosa? Tutto ciò che l’ombra è non può mai essere nulla più di ciò che è la sostanza. Qualunque cosa si rispecchi come un’immagine, come può essere qualcosa di più o di meno di ciò che si specchia? Non posso essere una “cosa” particolare; posso essere soltanto ogni cosa. È soltanto quando l’ego collassa che questo può essere percepito. E chiunque può dire questo soltanto, non c’è “uno” che può “dire” questo. Tutto ciò che è, è percezione.
- “lo” atemporalità - sono totale consapevolezza senza essere consapevole di questa consapevolezza, totale soggettività, senza il minimo tocco di oggettività. Mi manifesto attraverso la coscienza, attraverso la dualità, per mezzo di soggetto ed oggetto, attraverso i concetti di spazio-tempo e il campo degli opposti interdipendenti, senza i quali la manifestazione e l’oggettivazione non sarebbero possibili. Tutta la manifestazione è la mia espressione, il mio riflesso, in cui mi manifesto come ciascun essere senziente; questo oggetto, questo essere senziente sembra funzionare e si considera (erroneamente) come il soggetto. Ma “io” sono la sola soggettività e tutto il funzionamento nel mondo manifesto è la mia oggettivazione nella coscienza, che in effetti io sono. Tutti gli oggetti fenomenici, aspetti di ciò che io sono, diventano percepibili a livello sensoriale soltanto quando si estendono in quello che io manifesto come “spazio” e si misurano in ciò che io manifesto come “tempo”. Ancora, perciò, la semplice ed ovvia verità: Questo-qui-ed-ora, tutta la manifestazione percepita con i sensi, non è diversa da ciò che io sono nella mia unicità. E, naturalmente, ogni oggetto senziente può affermare questo. Una volta che questa semplice posizione viene chiaramente compresa, potete fare ciò che volete mentre attraversate la durata della vita che vi è stata assegnata.
- Questa unicità è ciò che io sono. Ma questa unicità, questa identità, questa totalità, non può conoscere se stessa perché in essa non esiste soggetto in quanto separato da un oggetto, una posizione che è necessaria per il processo del vedere, del conoscere o del percepire. In altre parole, nello stato originale dell'unicità o totalità, non esiste nessun mezzo o strumento attraverso il quale possa avvenire il conoscere.
- Io sono la coscienza, questo senso di presenza non può essere altro che un concetto, una visione, un sogno, un’allucinazione! E questa coscienza è la sorgente di tutta la manifestazione; in effetti è la manifestazione! Sorge una domanda basilare e fondamentale a questo punto. Chi è arrivato a questa conclusione? Chi altri può essere se non “io”? “Io” che sono responsabile per ogni sorta di manifestazione, io che sono ogni sorta di fenomeno manifesto, io che ero presente cento anni fa, io che ero presente prima che il “tempo” fosse concepito, io che sono atemporalità, io che sono consapevolezza non consapevole di se stessa poiché in quel mio vero stato di Totalità, Unicità, non c’è né presenza né assenza; assenza della presenza della presenza, assenza della presenza dell’assenza è ciò-che-io-sono (e ogni essere senziente può dire questo; non come se stesso ma come “lo”).
- “Io” non posso soffrire alcuna esperienza, perché “io” sono pura soggettività senza la minima traccia di oggettività e soltanto un oggetto può soffrire. Un “me” o un “tu” è un oggetto e perciò, soffre l’esperienza. Inoltre, come qualunque altro oggetto, un “me” o un “tu” non può avere sostanza e perciò, può esistere soltanto come un concetto nella coscienza. Inoltre, non dimenticare mai che soltanto la coscienza può soffrire, perché qualunque reazione ad uno stimolo, quello che lo sperimentare è, può avvenire soltanto attraverso la coscienza. In effetti, perciò, la coscienza e la sofferenza sono identiche, e in nessun modo differenti. Naturalmente c’è sofferenza. Ma realizzi che cos’è questa sofferenza? lo sono la sofferenza. Qualunque cosa sia manifesta, io sono il funzionamento. Qualunque cosa sia percepibile io sono il percepire. Qualunque cosa venga fatta io sono il fare; io sono l’agente e, comprendi questo, io sono anche ciò che viene fatto. In effetti, io sono il totale funzionamento. Tu ed io non siamo due, ma la stessa Assoluta Unicità.
- L’intero universo è il mio palcoscenico. Non soltanto recito, ma costruisco il palcoscenico e tutto l’equipaggiamento; scrivo la sceneggiatura e dirigo gli attori. Si, io sono il solo attore che assume i ruoli di milioni di persone - e, ciò che è più importante, questo spettacolo non finisce mai! La sceneggiatura viene scritta continuamente, nuovi ruoli vengono concepiti, nuovi scenari sorgono per molte differenti situazioni.
- La manifestazione universale è soltanto nella coscienza, ma il “risvegliato” ha il suo centro di visione nell’Assoluto. Nello stato originale del puro essere, non consapevole della sua esistenza, la coscienza sorge come un’onda sull’acqua e nella coscienza il mondo appare e scompare. Le onde sorgono e cadono, ma l’estensione d’acqua rimane. Prima di ogni inizio, dopo ogni fine, lo sono. Qualunque cosa accada, “Io” devo essere là a testimoniarla. Non è che il mondo non “esista”. Esiste, ma semplicemente come un’apparizione nella coscienza - la totalità del conosciuto manifesto nell’infinità dello sconosciuto, immanifesto. Ciò che inizia deve finire. Ciò che appare deve scomparire. La durata dell’apparizione è una questione di relatività, ma il principio è che qualunque cosa sia soggetta al tempo e alla durata deve finire ed è, perciò, non reale. Ora, non puoi percepire che in questo sogno-vivente sei ancora addormentato, che tutto quello che è conoscibile è contenuto in questa fantasia del vivere e che colui che, mentre conosce questo mondo oggettivato, si considera una “entità” separata dalla totalità conosciuta è in effetti parte integrante di quello stesso mondo ipotetico?
- Ciò che stiamo cercando non può essere trovato per la semplice ragione che quello che sta cercando e quello che è cercato non sono diversi. Uno non può cercare la verità come se fosse un oggetto né la verità può essere descritta. Può essere soltanto suggerita o indicata, ma non espressa in parole perché la verità non può essere concepita. Qualsiasi tentativo di trovare la prova della verità coinvolgerebbe una divisione della mente in soggetto ed oggetto e quindi la risposta non potrebbe essere la verità, poiché non c’è nulla di oggettivo a riguardo della verità, che essenzialmente è pura soggettività. La questione della prova sorge soltanto nell’esistenza relativa e qualunque prova fornita ali’interno dei parametri dell’esistenza relativa può soltanto essere una non verità! Il solo sforzo efficace è un’istantanea percezione della verità. Vedete il falso come falso e ciò che rimane è vero. Ciò che è assente ora, apparirà quando ciò che ora è presente scompare. È proprio così semplice. La negazione è la sola risposta.
- Non c’è “me", né “te" ; non hanno mai potuto esserci tali entità. qualunque percezione della Verità è valida soltanto quando la percezione stessa scompare, cioè, soltanto quando il cercatore stesso scompare come entità. Oggettivamente, io sono tutto quello che accade nello specchio della coscienza. Assolutamente, io sono quello. Io sono la coscienza in cui il mondo appare
- Ora so ed ho realizzato che io sono quello - io sono quello che sono sempre stato e sempre sarò. Che cosa resta da fare? o da disfare? E chi è che lo fa? E per quale scopo?
Semplicemente
sii